Cosa ci dicono Barbie e Oppenheimer sul cinema d’oggi

screenshot tratto dal trailer di Oppenheimer

Le due pellicole – uscite, per un’abile operazione di marketing, nello stesso giorno in quasi tutto il mondo- trattano argomenti assolutamente distanti all’apparenza (la condizione della donna e l’olocausto nucleare). Ma hanno la stessa capacità di catturare l’attenzione del pubblico, perché…

di Dario Furlani

In foto: screenshot tratto dal trailer di Barbie

Difficile ignorare l’enorme mole di materiale pubblicitario e di commenti che ci stanno investendo in questi giorni. Siamo a luglio e questo mese l’intero mondo del cinema sembra ruotare attorno a due soli film: Barbie e Oppenheimer. La spiegazione di tale entusiasmo è tanto semplice da riassumere, quanto estremamente complessa da approfondire: è il trionfo del connubio tra cinema commerciale e film d’essai.

In questa unione ricadono tutti quei film o registi quasi strettamente hollywoodiani in grado di catalizzare l’opinione pubblica e che si rivolgono sia allo spettatore generalista, sia a quello più ricercato. Sono circa una quindicina i nomi dei grandi autori cinematografici degli ultimi anni, quelli che richiamano al cinema (oppure -ahinoi- al divano davanti a Netflix) folle di cinefili della domenica e non solo. In questa fantomatica lista si possono trovare grandi glorie del passato (Martin Scorsese, Ridley Scott) quanto autori esplosi da giovani e che ormai si ritrovano a spegnere 50 o addirittura 60 candeline (Wes Anderson, Christopher Nolan, Quentin Tarantino).

Da alcuni anni, in questo gruppo quasi prettamente maschile, si può annoverare una new entry, finalmente donna e di una generazione più giovane: Greta Gerwig. Dopo essersi fatta un nome nel mondo del cinema indie americano, nel 2017 il giovane talento di Sacramento aveva fatto impazzire una moltitudine di cinefili (e soprattutto cinefile) con Lady Bird e due anni dopo con Piccole donne. Era nata una stella a livello internazionale e per la prima volta era una voce femminile che proponeva tematiche femministe a un pubblico gigantesco.

una scena di Barbie, diretto da Greta Gerwig

Torniamo al fenomeno Barbie-Oppenheimer. Sono passati rispettivamente tre e quattro anni dall’ultimo lavoro di Christopher Nolan e della Gerwig, e da almeno due trapelano notizie sui processi produttivi dei loro film. L’attesa inizia quindi a farsi sentire e gli appassionati scalpitano.

Inoltre, entrambi i film riguardano delle figure conosciute e trattano temi di attualità che vediamo discussi ovunque. La condizione della donna e la minaccia dell’olocausto nucleare sono argomenti in apparenza distantissimi tra loro ma ugualmente in grado di prendere di pancia il pubblico, riuscendo a catalizzarlo. Accennate uno dei due temi a una cena tra amici: basta una parola e si scatena una discussione destinata a durare per ore. Tutti hanno qualcosa da dire al riguardo e tutti ne sono più o meno coinvolti.

una scena di di Oppenheimer del regista Christopher Nolan

Tralasciando il fattore politico, la risonanza che stanno avendo questi due film ci dice molto anche sulla cultura dell’hype che ormai permea in ogni anfratto del mondo digitale. In inglese con hype si indica una ‘gonfiatura’, un evento che tramite vari meccanismi di comunicazione inizia a venire atteso febbrilmente senza che ci sia un vero motivo per farlo.

Che sia un album, un nuovo prodotto tecnologico o appunto un film, sui social si crea un’attesa spasmodica e una caccia a ogni indizio che si possa trovare a riguardo. La scelta di marketing di fare uscire i due film lo stesso giorno in quasi tutto il mondo non ha fatto che pompare ulteriormente l’aspettativa, creando un vero e proprio evento mediatico che ha preso il nome di Barbenheimer. Il fenomeno ha già prodotto una pagina Wikipedia tradotta in 16 lingue e migliaia di meme e locandine alternative che celebrano questo mostro bipolare internettiano.

Tutto ciò va inevitabilmente ad alterare la percezione del prodotto finale, che essendo stato così tanto imbottito di aspettative non può che catalizzare l’opinione pubblica. Prendiamo i dati di Letterboxd, il social per eccellenza tra i cinefili. A soli cinque giorni dalla loro uscita statunitense Barbie è stato visto da quasi 800mila persone contro le 500mila di Oppenheimer. Per capire questi numeri bisogna andare a vedere l’opera più vista sul sito: Parasite con 2.7 milioni di utenti che hanno registrato il film.

La ricezione delle due pellicole è però ancora più eclatante. Basandosi sul punteggio medio (si può dare da 0 a 5 stelle) il film della Gerwig si è posizionato alla 207sima posizione, mentre il lavoro di Nolan è volato al 52° posto. Per dare un metro di confronto Oppenheimer ha scavalcato Ladri di biciclette, Il settimo sigillo e I 400 colpi mentre Barbie ha surclassato C’era una volta in America, Full Metal Jacket e Aurora.

Ma oltre a essere significativi da un punto di vista commerciale e dell’industria, cosa ci dicono a livello artistico questi due film sul cinema d’oggi? Al di là di tutte le caratteristiche tecniche analizzabili, l’elemento che non può non saltare all’occhio è il montaggio. Nell’era di TikTok, dei reels di Instagram e dei contenuti lampo, l’attenzione dello spettatore medio rasenta quella di un criceto.

Per mantenere il ritmo e contrastare la distrazione sempre dietro l’angolo i film ci bombardano di informazioni, presentando una moltitudine di notizie al minuto. Che siano i dialoghi serratissimi di Nolan o gli effetti arcobaleno della Gerwig, lo spettatore si ritrova assillato da una valanga di elementi visivi e sonori che sollecitano la memoria di lavoro e non le danno tregua. E dato che entrambi non durano poco (il regista inglese arriva ampiamente alle tre ore), il pubblico intraprende un vero tour de force cognitivo che non può non lasciare spossati.

Vista l’importanza che queste pellicole hanno per il cinema attuale, Hollywood prenderà sicuramente nota di questa entusiastica risposta di pubblico, rendendo perciò sia Barbie che Oppenheimer degli utilissimi strumenti per capire in che direzione andrà il cinema (forse non solo commerciale) nei prossimi anni.
Ma, dato il grado di stordimento che queste opere offrono, forse non dovremmo più parlare di film. Il cinema e le fumerie d’oppio non sono mai stati cosi vicini.

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