Donne e diritti. Siamo la metà del cielo o di niente?

Di Giovanna Guzzetti

Foto: Women of Afghanistan per l’evento di WikiDonne in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2021

È innegabile che le forze occidentali, che avrebbero dovuto rinsaldare (o più semplicemente mettere?) le radici della democrazia e, soprattutto, dei diritti umani in  Afghanistan, hanno fallito: le forze fedeli al presidente Ghani Ahmadzai si sono liquefatte come neve al sole e l’esercito regolare che avrebbe dovuto garantire il rispetto delle regole democratiche (pur con tutta l’elasticità che questo termine assume in contesti simili) non solo non lo ha fatto ma non è nemmeno riuscito a farle proprie, a metabolizzarle, passaggio chiave per essere in grado di diffonderle e proteggerle con convinzione.

Ma la sconfitta più scottante è stata quella dei diritti umani, in generale, e di quelli delle donne. Tornate ad essere, da orgogliose studentesse, lavoratrici, politiche, in sintesi protagoniste della nuova vita afghana, vere e proprie schiave, reiette, asservite al volere della classe al potere, rimosse dalle posizioni faticosamente guadagnate – questo sì con l’appoggio degli occidentali – e spesso costrette alla clandestinità per difendersi da attacchi e/o vendette omicide di cui i media, spesso rocambolescamente, ci han dato conto o, peggio, rappresentazione. È Amnesty International, in un recentissimo rapporto, a denunciare la preoccupante situazione femminile: molti condannati per reati sessuali sono stati scarcerati mentre sono stati ridotti a zero i servizi per le donne e le ragazze sopravvissute alla violenza di genere, cancellati i loro rifugi e, con essi, la difesa legale gratuita, le cure mediche e il sostegno psicosociale. Forse una goccia, questi interventi, in un oceano di violenza di genere: secondo i dati della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama) nove donne su 10 avevano subìto violenza da parte dei loro partner almeno una volta nella loro vita. All’obbrobrio del matrimonio forzato i talebani hanno posto, apparentemente, rimedio proprio a inizio dicembre 2021, varando un provvedimento che vieta ogni unione priva del consenso della donna, riconoscendo maggiore libertà alle vedove e a tutte le donne il diritto di ricevere e disporre dell’eredità.

Non illudiamoci, nessuna rivoluzione copernicana in salsa urdu ma solo il tentativo (o la necessità vista la povertà crescente e la fame dilagante) di compiacere quel mondo occidentale, o soltanto meno fondamentalista, dal quale ricevere gli aiuti, indispensabili a fronteggiare un profondo impoverimento generale, legati all’implementazione di un certo tipo di riforme (niente di nuovo sotto il sole).

I diritti delle donne, però, non sono a rischio solo in terre lontane, geograficamente, culturalmente, dove si professano credo diversi, con tassi di alfabetizzazione assai diversi dai nostri. Basta volgere lo sguardo alla civile e cattolicissima Polonia per assistere ad un crescendo di misure volte a limitare al massimo la possibilità di interrompere una gravidanza in modo legale.

Il 22 ottobre 2020 il Tribunale costituzionale polacco aveva dichiarato illegittima la disposizione della legge del 1993 sulle condizioni per l’interruzione di gravidanza, già consentita solo nei casi di un’anomalia grave e irreversibile o di una malattia incurabile pericolosa per la vita del feto. Questo ha reso di fatto impossibile abortire volontariamente e liberamente in Polonia: quest’anno sono stati solo 300 gli interventi a donne polacche in ospedali del loro paese mentre, nello stesso periodo, Aborto senza frontiere ha aiutato 34.000 polacche ad accedere all’aborto altrove.

Ma lo strappo sui diritti umani a Varsavia non si ferma qui. Il Parlamento polacco ha all’esame, e nelle intenzioni della maggioranza conservatrice che governa il paese vorrebbe approvarla presto, una legge che dà il via all’Istituto per la famiglia e la demografia con l’obiettivo di scoraggiare divorzi, impedire aborti e disgregare le famiglie arcobaleno. Come non fare nostra la rappresentazione di una Polonia in procinto di compiere “un altro deciso passo verso il Grande Fratello medievale”?

Nella terra dei guardiani della democrazia mondiale, gli Stati Uniti, non è bastata la sentenza della Corte Suprema del 1973 che sul caso sul caso Roe vs Wade ha legalizzato l’aborto in tutti gli States. Di quando in quando, saranno i repubblicani accaniti o il Tea Party, il tema però rispunta.

Il Mississippi ha varato una legge che proibisce l’aborto dopo le 15 settimane dal concepimento, finita di recente al vaglio della Corte Suprema. Non conosciamo ancora la decisione di questo organo collegiale ma l’aria che tira, nonostante le dichiarazioni di Biden a favore del diritto all’aborto, è di quelle che non escludono spazi, mosse, interventi di smantellamento di un diritto che sembrava, alla luce delle battaglie compiute, irrevocabile.

In Italia, invece, si potrebbe mostrare orgoglio per due misure: la legge sull’obbligatorietà delle retribuzioni fra uomini e donne ed il reddito di libertà. Ma una lettura solo poco più approfondita fa emergere una situazione di partenza sconfortante. Uomini e donne, tutti gli individui, sono uguali davanti alla legge, sancisce la Costituzione Repubblicana, ma ci sono voluti quasi 80 anni per trasferire questo principio agli stipendi. Ci sarebbe da (sor)ridere se non ci fosse da piangere…Lacrime di cui, invece, è impregnato il reddito di libertà (400 euro al mese) a favore delle donne, vittime di violenza, perché provino – ci auguriamo insieme con altri supporti – a ridisegnare, se non a ricostruire, la loro vita. Ma perché meno del reddito di cittadinanza, quale il criterio di determinazione, tenuto conto che il numero di queste potenziali percettrici è di gran lunga inferiore a quello dei beneficiari del RdC?

La sensazione, globale, è che delle donne sia facile, comodo e politically correct definirle l’altra metà del cielo ma che nella pratica, anche nell’anno Domini 2021 continuino ad essere, per dirla con Catherine Dunne, la metà di niente.

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