Europa: una persona, un voto?

Il 20 e 21 settembre gli italiani sono chiamati ai seggi in occasione del referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. I cittadini italiani residenti all’estero e iscritti alle liste elettorali potranno votare per posta oppure possono scegliere di votare in Italia presso il proprio comune di iscrizione elettorale – comunicando tale scelta alle autorità competenti.

Il prossimo 27 settembre i cittadini svizzeri saranno chiamati a esprimersi sulla libera circolazione delle persone, la cui abolizione comporterebbe anche la disdetta degli Accordi Bilaterali che compongono il pacchetto “I” – e riguardano, oltre la libertà di movimento delle persone, anche l’abolizione degli ostacoli tecnici al commercio, l’accordo sul commercio di prodotti agricoli, sulla ricerca e sui trasporti terrestre e aereo, tanto per ricordare alcuni punti. La comunità degli italiani residenti in Svizzera – fino a poco tempo fa il gruppo più numeroso nella Confederazione – non potrà votare, se non nel caso di doppia nazionalità. Niente di strano in questo diniego del diritto di voto. È norma infatti in Europa.

No taxation without representation.

A inizio anno è stata deposta un’iniziativa alla quale la Commissione Europea dovrà dare ‘uno sguardo’: si chiama “Elettori senza frontiere, pieni diritti politici per i cittadini dell’UE”. Il cuore dell’iniziativa è il paradosso che riguarda l’impossibilità per i cittadini europei che si spostano all’interno dell’UE e Spazio Schengen a esercitare pieni diritti politici. Sono 13 milioni gli uomini e le donne che vivono in una nazione diversa da quella di cui hanno il passaporto: là vi trovano lavoro, pagano le tasse, mandano i figli a scuola, usano servizi (e pagano per il loro mantenimento), ad esempio!

Eppure, la loro relazione con il Paese dova abitano è fortemente sbilanciata: sorretta da ragioni economiche e di convenienza, piuttosto che basata su motivi civili – argomentano i sostenitori dell’iniziativa. Anche nel caso in cui alcuni Paesi diano la possibilità a persone che vivono in uno Stato diverso dal proprio di votare alle elezioni locali, comunali e municipali (sulla raccolta dei rifiuti, la chiusura di strade a favore di spazi pedonali e la mensa scolastica), gli expats rimangono esclusi dalle scelte democratiche che contano davvero. E che riguardano la dimensione ‘nazionale’. Sono quindi indotti a sentirsi più stranieri che membri a pieno titolo della comunità.

Representation without taxation.

Ma il paradosso non finisce qui. Perchè se permangono numerosi ostacoli all’esercizio del diritto di voto da parte dei cittadini dell’UE che risiedono in uno altro Stato membro, in molti tra coloro che vivono all’estero non esercitano il diritto di voto nemmeno nel Paese di cui sono cittadini. Per alcuni, tale esercizio di voto non è dato. Ovvero non è previsto, come in Irlanda, dove si perde il diritto di voto se si vive da più di 18 mesi all’estero. Per altri, il diritto di voto non viene esercitato, perchè farlo è complicato. È il caso dei cittadino ungheresi residenti all’estero che possono votare solo recandosi al proprio consolato.

Così, come riporta The Economist, il numero dei giovani expats che votano in occasione di elezioni riguardanti il proprio Paese di origine è piuttosto basso. Lasciando che il futuro della ‘propria’ nazione, della quale potrebbero influenzare le scelte, non li coinvolga.

Oltre la nazionalità: una persona, un voto.

Se da un lato è certamente ragionevole che i cittadini residenti all’estero possano votare nel Paese di cui hanno la cittadinanza (anche se generazione dopo generazione si potrebbe argomentare il contrario!), dall’altro si può domandare perchè il destino di una nazione debba essere (anche) nelle scelte di chi quella nazione l’ha lasciata – e talvolta per sempre.

E, più in in generale, sorge la domanda del legame tra diritto di voto e nazionalità.

Oggi, le elezioni nazionali sono una prerogativa dei governi nazionali. In contraddizione, però, con la compatibilità tra diritti elettorali e libera circolazione. Anzi, secondo i sostenitori dell’iniziativa “Elettori senza frontiere, pieni diritti politici per i cittadini dell’UE”, tale esclusione ai processi e partecipazione politica accresce, fondamentalmente, le divisioni tra ‘noi’ e ‘loro’. In questo senso, l’esercizio del voto e la rappresentanza dei cittadini europei anche nei Paesi dove risiedono diventa un passo fondamentale perchè avvenga una piena integrazione e ci si senta membri a pieno e pari titolo della società in cui si vive.

“No alla tassazione senza rappresentanza”, lo slogan che negli Usa durante gli anni 1750 e 1760 riassumeva la lamentela dei coloni britannici nelle Tredici Colonie e che fu una delle cause principali della Rivoluzione americana, rimane oggi – appunto – uno slogan. In Europa. Eppure, conferire pieni diritti politici agli expats non sarebbe coerente con il divieto previsto dal diritto dell’UE di qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla nazionalità?

Oggi, 12 luglio, mancano 50 giorni prima della presentazione dell’iniziativa alla Commissione Europea per una rappresentanza oltre la nazionalità . Per chi volesse saperne di più, il sito ufficiale è https://voterswithoutborders.eu/

 

 

 

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