Srebrenica : senza riconciliazione non vi sarà pace

Tra il 9 e l’11 luglio del 1995, quando in una regione bosniaca a maggioranza serba, unità dell’esercito della Repubblica srpska, guidata dal generale Ratko Mladić, radunarono tutti i cittadini bosniaci di fede islamica dai 12 ai 77 anni e, portatili fuori dal paese abitato, li uccisero. I morti furono più di 8mila (8.372 secondo le stime ufficiali). Quello di Srebrenica è stato definito il peggior massacro compiuto in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Sono passati 25 anni da quella cancellazione sistematica di intere generazioni di padri, fratelli e figli ma “il genocidio di Srebrenica resta una ferita aperta nel cuore dell’Europa. Non abbiamo dimenticato ciò che è accaduto e la nostra responsabilità di non aver potuto prevenire e fermare il genocidio” – ha affermato il commissario Ue per l’Allargamento, Oliver Varhelyi, parlando oggi davanti all’Europarlamento – “A Srebrenica l’Europa ha fallito e oggi ci confrontiamo con la nostra vergogna. Il genocidio continua a perseguitarci” e “a ricordarci la nostra responsabilità condivisa affinché non si ripeta. È quindi nostro dovere ricordare Srebrenica per sempre”.

Negli anni, le conseguenze di quel genocidio non hanno portato a forme di radicalizzazione religiosa tra i sopravvissuti, soprattutto nelle giovani generazioni, come ha spiegato Michele Nardelli, tra i fondatori dell’Osservatorio Balcani-Caucaso : “Per quanto riguarda i musulmani di Bosnia, la radicalizzazione rappresenta un fenomeno marginale e i gruppi fondamentalisti come lo Stato islamico, in questi anni, non sono riusciti a farsi molto spazio in questo dolore”.

Ciò nonostante nella regione non c’è ancora stata alcuna elaborazione del conflitto poiché la rassegnazione e il bisogno di sopravvivenza sono i sentimenti che prevalgono tra le nuove comunità della regione, che rimangono largamente immerse nel proprio incubo, nella propria narrazione.

E così, senza l’elaborazione del conflitto non si dà il superamento del lutto e del risentimento, spiega Nardelli: “È un processo complesso, perché implica terzietà, posizione non sempre semplice. Pensiamo anche solo a Srebrenica: non è facile essere terzi in quel luogo. Ma questo non vuol dire dimenticare le responsabilità, né significa essere equidistanti, ma piuttosto equo-prossimi”.

Anche Oliver Varhelyi ha sottolineato nel suo discorso che “Senza riconciliazione non vi saranno pace, stabilità e prosperità. Ecco perché invito i Balcani occidentali a lavorare in questa direzione, a guarire le ferite del passato e a mantenere gli impegni per un’Europa comune”.

 

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