Identità fluide al centro del romanzo ACQUADOLCE di Akwaeke Emezi

La letteratura nigeriana è, in questi anni, più dinamica e vitale che mai. Mi riferisco non solo all’immenso Wole Soyinka, lo scrittore Premio Nobel per la Letteratura del 1986, ma anche a giovani scrittrici quali Chimamanda Ngozi Adichie, di cui ci siamo già occupati recensendo “Americanah”, a Noo Saro-Wiwa, figlia dell’attivista, ambientalista, poeta e scrittore Ken Saro-Wiwa, brutalmente ucciso nel 1995. In questo articolo vorrei soffermarmi su Akwaeke Emezi e il suo romanzo d’esordio, Acquadolce (una sola parola, tradotto letteralmente dall’originale inglese Freshwater), pubblicato nel 2018 e in Italia nel 2019, grazie alla casa editrice Il Saggiatore. Il libro è stato inserito dal New York Times, che lo ha definito “Coraggioso e straordinario, poetico e disturbante”, nella lista dei cento migliori libri del 2018. Il giornale inglese The Guardian lo ha definito “Un romanzo perfetto. Sexy, sensuale, spirituale. Uno degli esordi più straordinari di sempre” mentre il The Wall Street Journal lo descrive così: “Acquadolce racconta la litania di pazzie sofferta dalla giovane Ada con una prosa serpentina che affonda i denti nel lettore. Dopo Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie, Acquadolce è l’ultimo capolavoro di questa età dell’oro del romanzo nigeriano”. 

Potrei descrivere la trama in due parole, dicendo che il libro narra la storia di Ada, nata in Nigeria, in un villaggio di terra rossa, che a diciott’anni si trasferisce negli Stati Uniti per studiare. Se così facessi, darei al lettore l’impressione di un libro simile ad Americanah, ma così non è. In questo libro la storia di Ada, dalla nascita fino all’età adulta, è raccontata da alcuni spiriti, che di volta in volta convivono con lei, si impadroniscono di lei, la condizionano, entrano in conflitto con lei. Alcuni sono per lei spiriti positivi, altri decisamente negativi. Partendo dall’infanzia, gli spiriti raccontano l’evoluzione di Ada, le sue esperienze, i suoi errori, in una sorta di romanzo di formazione fuori dagli schemi tradizionali. Il tema della spiritualità, attraverso presenze benigne e  maligne, costanti nella vita dell’uomo, è molto presente in diversi Paesi africani, e sviluppa sentimenti ed emozioni intensi: è, talvolta, la spiegazione a ciò che la vita ci riserva. Non è diverso nel mondo occidentale, anche se spesso le forme (religiose e non) sono diverse, più sfumate. Ciò che a un lettore occidentale superficiale può sembrare malattia mentale (le voci che si affollano nella testa di Ada), è perfettamente normale in una cultura diversa come quella dell’Africa occidentale (nello specifico di questo libro, la cultura igbo). 

Il libro tratta diversi temi importanti, quali la solitudine e il senso di solitudine che si sviluppa talvolta pure quando si è circondati da persone; la fluidità sessuale che porta Ada a sperimentare nuove situazioni. Il pregio della scrittrice è quello di dare una cornice di normalità a queste situazioni, che persone benpensanti o superficiali potrebbero trovare anormali o quantomeno eccentriche. La Emezi definisce se stessa “non binary”, non binaria (per chi non lo sapesse, le persone non binarie sono quegli individui che non si considerano né uomo né donna, o che si considerano entrambi o non esclusivamente solo uno dei due ‍ — ‌ identità che sono dunque non completamente riconducibili all’approccio binario di genere) e, quando scrive, usa il pronome personale “they” invece di “he/she”. Acquadolce è un libro per palati fini, per persone cioè abituate alla lettura. Non è un libro di evasione e pertanto richiede il suo tempo per essere letto: ogni parola va gustata, ogni pensiero va elaborato e utilizzato per riflettere ulteriormente. Un romanzo che non trova paragoni, almeno tra i libri che ho letto finora, e che io consiglio caldamente a chi ama farsi sorprendere da cose nuove, a chi non ha paura di uscire fuori dagli schemi.   

Riferimento: https://www.ilsaggiatore.com/libro/acquadolce/ 

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