Il ballo degli impostori

Anime alla deriva. La Recensione di Moreno Macchi

Moreno Macchi

«Camilla aveva
una vera passione
per i punti esclamativi»

Richard Mason
Anime alla deriva (romanzo)
Einaudi

Sarah, la moglie di James (il narratore), si è suicidata sparandosi un colpo di pistola alla testa.

O forse no. Sarah era una donna molto attenta, dignitosa, serena, un po’ misteriosa. Almeno in apparenza. Ma poi c’e anche Ella, incontrata alle prime ore del mattino in abito da sera seduta su una panchina con un caffè e una sigaretta in mano; e c’è la brillante ed espansiva Camilla, quasi perfetta nel suo abito bianco attillato che magnificamente contrasta con una sapiente abbronzatura, e assolutamente sposabile secondo i genitori di James, un vero ottimo partito che gli avrebbe garantito l’accesso alle sfere della più splendida aristocrazia londinese, la conoscenza di tutti quelli che contano e un’ottima posizione sociale.

Sì, perché l’orologio è tornato indietro di circa cinquant’anni e il narratore prima settantenne, ritrova i ruggenti vent’anni della sua perduta gioventù, le sue emozioni, la sua timidezza, le sue ambizioni, le lotte e le liti in famiglia.

Richard Mason ha scritto questo romanzo a diciotto anni (sic!), mentre finiva gli studi secondari al prestigioso liceo privato di Eton. E qui una cosa ci stupisce a parte l’estrema giovinezza dell’autore, e cioè la sua capacità a immedesimarsi in un personaggio settantenne con tutta la vita dietro di sé, mentre la sua sta appena appena cominciando. Ci fa lo stesso strano effetto di quando leggiamo un romanzo nel quale l’autore (e qui pensiamo immediatamente al Flaubert di Madame Bovary) riesce a calarsi nell’intimità, nei sentimenti, nei pensieri, nelle emozioni, negli stati d’animo di una donna e a rendercene partecipi.

E come Flaubert (mutatis mutandis) il giovanissimo autore riesce con grande maestria e abilità a penetrare anche la psicologia assai complicata (e a volte contorta) del tris di donne che circondano il narratore e che sembrano ognuna nascondere qualcosa, recitare una parte, ingannare la platea, creare illusioni e strani giochi di specchi …

Ovviamente il libro non è incentrato sulle nostalgie di un anziano gentiluomo anglosassone ripiegato unicamente su sé stesso; il narratore ci fa viaggiare avanti e indietro nel tempo (pur sempre rispettando una relativa linearità narrativa) e ci propone alcune interessanti digressioni sul ruolo e il funzionamento della memoria, sulla complessità di certe decisioni, sulla difficilmente analizzabile psiche di chi lo circonda. Intervengono quindi brevi anticipazioni e certi rapidi flash back che ci permettono di carpire indizi sul futuro e sul passato del protagonista.

Molto interessanti però anche gli altri personaggi: dal pallido, longilineo (e piuttosto insignificante) Charlie dalle mani umidicce, ai severi e intransigenti genitori di James davvero molto british, alla nonna delle cugine Sarah e Ella, avventuriera americana e donna emancipata ante litteram, emigrata in Inghilterra per volere dei genitori risoluti a unire la loro fortuna al titolo di un nobile squattrinato, al quale offrirà in pochi anni quattro solidi eredi per poi buttarsi da una finestra del turrito castello ereditario in Cornovaglia per la frustrazione e la noia di una vita ormai priva di ogni interesse per lei.

Come in altri romanzi, la narrazione che ripercorre la vita del personaggio-narratore serve a una laboriosa (e dolorosa) forma di catarsi, quel rito magico di purificazione delle passioni umane, inteso a mondare il corpo e l’anima da ogni contaminazione, da ogni errore, da ogni pensiero ricorrente e tormentoso. Così il ripercorrere, ricostruire, ricordare, rievocare quel passato nel quale la giovinezza aiuta a commettere irreparabili sbagli vorrebbe/dovrebbe «liberare» James dal tormento che lo rode.

Ma basterà?

Comunque, il lettore scoprirà tutto ciò che viene sottinteso o abilmente celato nel racconto solo nelle ultime pagine, davvero ricche di rivelazioni e di sorprese.

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