Il Consiglio federale e il debito pubblico

Le prossime vacanze estive sono entrate prepotentemente nell’agenda politica dei Governi di molti Paesi europei e si moltiplicano gli appelli a trascorrerle nella propria nazione e a frenare la tentazione di recarsi all’estero. Dalla Svizzera all’Austria, dalla Germania alla Francia e a Spagna e Italia, la musica non cambia: “fai le vacanze a casa tua”, è la parola d’ordine che contrasta gli operatori globali che per sopravvivere economicamente vorrebbero portare gli svizzeri all’estero.

Il turismo rappresenta una parte enorme del PIL di molti Paesi e difendere le proprie posizioni e interessi, evitando ulteriori danni aggiuntivi a quelli finora provocati dal lockdown, è comprensibile. D’altronde, è oramai evidente che per contrastare la crisi innescata dal coronavirus sono aumentate le spinte protezionistiche adottate in molti Paesi, di pari passo con i copiosi interventi finanziari degli Stati a sostegno dei propri sistemi produttivi ed economici.

Con il calo dell’emergenza sanitaria e l’allentamento delle misure di contenimento del contagio, torna ora in primo piano la discussione sul costo della crisi e come riallineare il debito pubblico della Confederazione. Il gruppo di esperti, a cui fa riferimento il Consiglio federale per le questioni economiche connesse alla crisi di coronavirus, situa l’aumento del deficit 2020 della Confederazione in una forbice variante da 30 a 40 miliardi di franchi, un buco causato soprattutto dal forte aumento del lavoro ridotto e dalla disoccupazione, con le relative indennità da pagare. La discussione riguarda principalmente le soluzioni per ripagare il debito e in quale arco di tempo, tematiche che – ovviamente – infiammano il dibattito tra le forze politiche.

 

Per il rientro del debito pubblico si ritiene che occorra un minimo di 6 fino a un massimo di 30 anni.

 

I cittadini contribuenti sono abituati da anni – dal 2003 per la precisione – ai consistenti saldi attivi del bilancio della Confederazione, circa 1.2 miliardi all’anno, dovuti principalmente al contenimento delle uscite e a una buona dose di realismo in fase previsionale. Tali avanzi di bilancio consentirebbero di ripianare l’aumento del debito pubblico nei prossimi anni, condizione tuttavia fortemente dipendente dalla tenuta dell’economia e anche dalla scoperta in tempi brevi di un vaccino per contenere gli effetti di una eventuale ripresa della pandemia. Comunque tale soluzione richiederebbe tempi lunghi. L’orizzonte di tempo occorrente per il rientro del debito pubblico è stato molto dibattuto: il gruppo di esperti ritiene che occorra un minimo di 6 anni – l’equivalente della lunghezza media di un ciclo economico – fino a un massimo di 30 anni. La soluzione sul lungo periodo appare oggi, alla luce anche dei tassi d’interesse mai così bassi, come la più percorribile e probabile.

Gli esperti – provenienti dalle università e dai centri di ricerca in campo economico dell’intera Svizzera – hanno esaminato altre soluzioni, come l’eventuale incremento delle entrate federali con un aumento temporaneo delle imposte, una sorta di “tassa coronavirus” basata sui redditi, sull’aumento delle aliquote dell’IVA e dell’imposta sulle aziende. Ipotesi tuttavia sconsigliata perché l’aumento delle tasse comporterebbe vari rischi, come la fuga delle aziende e, non da ultimo, il rallentamento dei consumi con conseguente raffreddamento congiunturale. Un’ulteriore possibile soluzione prende in esame un contenimento delle uscite su alcuni capitoli del bilancio confederale, come agricoltura, istruzione e ricerca, aiuti allo sviluppo, cultura, difesa e polizia. Risparmiare 6 miliardi l’anno su detti dipartimenti è impresa ardua – hanno fatto intendere gli esperti – per cui hanno affiancato a tale ipotesi l’eventualità del congelamento degli stipendi del personale federale e la riduzione delle retribuzioni ai livelli più elevati.

In risposta ai suggerimenti provenienti dal mondo delle imprese, della politica e dei sindacati, il gruppo degli esperti ha esaminato anche l’ipotesi che la BNS contribuisca in modo decisivo al risanamento del debito pubblico svizzero. Notoriamente è un tasto ricorrente che di anno in anno mette sotto i riflettori le enormi riserve ripartite dalla BNS tra i Cantoni e altri scopi istituzionali, riserve valutate ora in oltre 80 miliardi di franchi.

 

Si valuta se utilizzare le riserve ripartite dalla BNS per ripagare l’aumento del debito contratto dalla Confederazione a causa del Covid-19.

 

Lo scorso anno un largo coro di voci ha rivendicato che tali riserve vengano destinate in parte all’Assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS), mentre adesso c’è una corrente di pensiero che vorrebbe utilizzare tali riserve per ripagare l’aumento del debito contratto dalla Confederazione a causa del Covid-19. Il gruppo degli esperti ha richiamato tutti all’ordine sulla indipendenza della Banca nazionale, che non può essere messa in discussione, aggiungendo tuttavia che se tale scelta fosse adottata liberamente dalla BNS stessa, nell’interesse della Svizzera in un momento così particolare e unico, le risorse dovrebbero essere versate direttamente all’Assicurazione disoccupazione.

Il terremoto, che ha rimesso in discussione pratiche e sistemi che ritenevamo non modificabili, ci offre l’immagine del Governo tirato per la giacca da ogni sorta di gruppo d’interesse, anche di quelli che hanno sempre predicato il liberismo e contro l’ingerenza dello Stato, che sta assumendo un ruolo sempre più attivo nella sfera economica.

Non senza critiche, anche accese. È il caso, ad esempio, della proposta di ridurre del 60% l’affitto dei negozi, per un periodo pari ai due mesi di lockdown e per un canone fino a 20mila franchi al mese. Proposta che ha riscosso numerosi consensi ma anche molte critiche, tra le quali la più categorica sottolinea che la politica regalerebbe soldi dei contribuenti a gruppi internazionali – locatari dei negozi – che risiedono nelle grandi capitali del mondo, da New York a Parigi a Milano. Insomma, comprensione per le piccole imprese e rifiuto per quelle globali, senza soffermarsi sui posti di lavoro in gioco.

 

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