Il labirinto della Masone e le incognite del tempo sospeso

Quando un labirinto può insegnare a orientarci

di Stefania De Toma

«Non puoi costruire il labirinto più grande del mondo», disse Jorge Louis Borges a Franco Maria Ricci, «perché esiste già, ed è il deserto». Come replicare a una tale affermazione, soprattutto se proveniente da uno dei più profondi poeti del nostro secolo? Borges era quasi cieco quando i due si conobbero e l’editore gli aveva affidato una delle collane diventate celebri in tutto il mondo: “La biblioteca di Babele”.  Ecco, il deserto, la cecità, Babele: quanto di più favorevole allo smarrimento. 

Eppure Franco Maria Ricci, designer e grafico divenuto eccelso editore di una rivista prestigiosa e di libri d’arte e letteratura che sono essi stessi opere d’arte, il labirinto più grande del mondo decise di costruirlo nei dintorni di quella Parma che era la sua città d’origine, nel cuore di una provincia grigia e nebbiosa a cui sentiva il dovere di restituire almeno in parte tutto il bene che ne aveva ricevuto. Aveva scelto, per dare forma a quei meandri, il bambù, pianta con la quale aveva cominciato a abbellire la tenuta ricevuta in eredità da sua nonna sulla Strada Masone nella campagna di Fontanellato. E posso capirlo, i bambù hanno qualcosa di magico: non sono alberi, ma piante che creano boschi in cui il vento, infilandosi, può dare vita a melodie sublimi, come a sfiorare canne di organo. Duecentomila di venti specie diverse ne ha piantati; nell’architettura a forma di stella progettata da Davide Dutto, uno studente di architettura che gli aveva proposto un progetto editoriale. Nelle immagini presentate dal giovane vide riaffiorare il sogno del labirinto accantonato dai tempi della amicizia con Borges e gli chiese aiuto per realizzarlo. Il resto è storia, quella di un luogo che dal 2015 è un percorso immerso nella bellezza, nel cuore del quale vi sono una sede espositiva della sua ricca collezione di opere d’arte e una biblioteca che raccoglie le sue pregiatissime produzioni editoriali. Un luogo dove la cultura riproduce se stessa attraverso mostre temporanee, concerti, teatro, conferenze, offrendo proprio quegli strumenti che possono aiutare a orientarci, a guardare oltre le barriere per superale e oltrepassarle.

Sono tanti mesi che viviamo una dimensione che sembrava essersi sospesa, almeno per noi italiani, con le vacanze estive; anzi, per dirla meglio, il lockdown primaverile ci aveva dato l’impressione di essere contenuto in un inizio e una fine ben determinati, netti, precisi. In questi giorni, circondati da numeri e contagi spaventosi in Europa e nel resto del mondo – laddove in Italia si naviga su cifre decisamente più contenute, ma in deciso rialzo – sembra davvero esserci appena entrati, in un labirinto; quasi con consapevolezza, vedendo, già al nostro avvicinarsi, possibilità di accessi e di strade i cui sbocchi sono avvolti nell’incertezza. La scuola continuerà in presenza o riprenderemo a guardarci dagli schermi? Possiamo organizzare un concerto o una rappresentazione teatrale, oppure una fiera campionaria? Andremo a messa a Natale? Lavoreremo in smart working? Posso lanciare una nuova produzione? Potrò sposarmi? E le domande sarebbero migliaia, milioni, una per ognuno di noi.  

Franco Maria Ricci voleva quel labirinto che gli frullava nella testa da quando era bambino e, dopo l’incontro con Borges, era diventata una meta da raggiungere, quasi una sfida. Un labirinto non per perdersi, ma, attraverso la quiete della natura e la bellezza dell’arte rinchiusa al centro di esso come uno scrigno, rivelarsi un luogo e un simbolo per ritrovare se stessi, come nella tradizione più antica, dalla mitologia all’esoterismo, dalla filosofia alla cristianità, quando i pellegrini li percorrevano, come viaggio interiore, in ginocchio, all’interno delle chiese, ove erano disegnati con mosaici sul pavimento. 

Non sappiamo dove stiamo andando, nella certezza di entrare in un nuovo momento in cui è difficile orientarsi: prendiamola come una seconda possibilità per reinventare metodi, formule, startup, alternative al consueto che possano rivelarsi migliori. Il progresso è anche questo: trasformare gli ostacoli in risorse. Attraversando il labirinto che è in noi stessi. «Com’è noto, quando fece costruire il suo Labirinto, che era una prigione, Minosse nutriva intenzioni cupe e crudeli; io immaginai un equivalente addolcito, che fosse anche un Giardino, dove la gente potesse passeggiare, smarrendosi di tanto in tanto, ma senza pericolo». Appena possibile, un giretto lì vicino Parma a omaggiare nel cuore della sua ultima creazione Franco Maria Ricci, editore visionario morto lo scorso settembre a ottantadue anni, sarebbe cosa buona farlo.

 

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