Il lato oscuro del fenomeno Wanna Marchi. La psicologia del truffatore e del truffato

Spopola la docu serie di Netflix sull’ex regina delle televendite

di Gaia Ferrari

Si è rivelata un successo, anche per il dibattito effervescente che ha scatenato, Wanna’, la nuova docu-serie italiana di Netflix.
I quattro episodi dedicati all’ascesa e alla caduta dell’ex regina bolognese delle televendite, Wanna Marchi, sono stati realizzati attraverso 22 testimonianze, a fronte di circa 60 ore di interviste e immagini tratte da oltre 100 ore di materiali d’archivio. Gli eventi sono stati ricostruiti in modo fattuale e accurato. La vicenda, che a suo tempo fece un gran scalpore in Italia e persino oltreconfine, è raccontata attraverso le dichiarazioni delle dirette interessate (la stessa Marchi e la figlia Stefania Nobile) e delle vittime, passando per figure più significative del nascente mondo delle emittenti private.

Ma chi è ‘Wanna’?
A spiegarlo bene anche nell’omonima serie di Netflix, tra i vari professionisti che compaiono, c’è Stefano Zurlo, giornalista investigativo e uno dei professionisti più informati dei fatti. La scorsa estate Zurlo ha pubblicato un libro (edito da Baldini+Castoldi), ‘Wanna Marchi – ascesa e caduta di un mito’, in cui ha ripercorso la parabola dell’estetista di Ozzano da diva della Tv nostrana al carcere. “All’inizio era timida e impacciata: non riusciva a vendere i suoi prodotti. Poi, il marito Raimondo Nobile s’inventò l’alga liofilizzata”. Fu così che la Marchi divenne famosa. È quanto si legge nella presentazione del volume. Ed è ciò che si vede molto bene fin dai primi episodi del documentario.

In ‘Wanna’, all’inizio, lo spettatore è investito dallo stile aggressivo con cui Marchi si rivolgeva al pubblico agli esordi, diventato poi il marchio di fabbrica con cui proponeva creme dimagranti miracolose. Per tutti gli anni ‘80 la sua immagine e i suoi prodotti impazzarono, rendendola ricchissima e famosa, insieme al suo unico e vero braccio destro, la figlia Stefania. Per vent’anni Marchi fu un personaggio ricercato nei salotti e persino a teatro e nel mondo della discografia.

Divenne un vero e proprio fenomeno di costume. A un certo punto, però, madre e figlia passarono dal successo alla clamorosa caduta di inizio anni ‘90, quando il loro impero si sgretolò e scaraventò le due sul lastrico. Un disastro che scatenò in loro la voglia di riscatto. Da lì la svolta: la signora che sferzava le casalinghe e le invitava a farsi magre e belle cominciò a vendere i numeri della fortuna. In compagnia della figlia Stefania Nobile e di un sedicente mago brasiliano, Mario Pacheco Do Nascimento, Wanna si mise a predicare sfortune e sventure, a vendere sale e pozioni contro il malocchio. Dopo avere venduto l’illusione della forma fisica perfetta, passarono a commercializzare l’unica cosa che nessuno aveva mai pensato di vendere: la fortuna. Creme dimagranti e antirughe lasciarono il posto ad amuleti e numeri benedetti venduti insieme al Maestro di vita Do Nascimento. Questa strepitosa macchina da soldi si sarebbe poi rivelata essere altro: una truffa clamorosa, realizzata grazie a una complice insospettabile, la televisione. Le vittime, indebitatesi fino al collo e umiliate, con le loro drammatiche deposizioni in tribunale, svelarono come si sviluppò la fabbrica delle illusioni.

Nella docu-serie Netflix Do Nascimento chiarisce com’era gestita la situazione dall’interno. Ex dipendenti sottolineano come la magistratura e le istituzioni abbiano ignorato per anni le denunce e gli allarmi lanciati da chi aveva intuito il malaffare. Piergiuseppe Cananzi, ai tempi capitano della Guardia di finanza, l’ufficiale che arrestò Wanna e la figlia Stefania, ricostruisce l’operazione «Tapiro salato» (chiamato così in onore del tg satirico ‘Striscia la Notizia’ e dei suoi servizi di denuncia sul tema) fino alla notte in cui scattarono le manette, il 24 gennaio 2002. Commenta la giornalista ed esperta tv Eliana Corti, creatrice della pagina Instagram LaCortiTv: “Wanna’ sembra un crudo ritratto del dietro le quinte dell’età dell’oro della televisione commerciale e del mondo delle televendite, che ressero per lungo tempo “la baracca” delle nostre tv. Il lato oscuro di un mondo pop e sgargiante. Senza filtri, come Wanna Marchi”.

Aggiunge Corti: “La serie, inoltre, ci offre un compendio perfetto di quello che è il ‘victim blaming’, la colpevolizzazione delle vittime, dei truffati, tanto che – come ricorda uno degli avvocati – non tutti hanno denunciato perché sommersi dalla vergogna”. Conclude la giornalista: “Credo che, se considerassimo ‘Wanna’ come una porta aperta sui processi mentali di truffatori e manipolatori, potremmo avere uno strumento in più per capire. Il truffatore, ma soprattutto il truffato”.

‘Wanna’ è prodotta da Fremantle Italia, di Alessandro Garramone, è scritta dallo stesso Alessandro Garramone e Davide Bandiera, è diretta da Nicola Prosatore e prodotta da Gabriele Immirzi per Fremantle Italia. Come ha spiegato Immirzi in alcune note di produzione “l’arco produttivo per la realizzazione di Wanna è stato di circa due anni, con nove mesi di montaggio. Il lavoro di ricerca preparatoria per la scrittura è durato circa un anno e ha visto impegnato un team di 3 giornalisti e altrettanti ricercatori di immagini”.

Nell’ambito dell’approfondito lavoro di ricerca e ricostruzione delle fasi della vita di Wanna Marchi come acclamato personaggio pubblico si è ricorso “alle Teche della Rai, di Mediaset, di Telemontecarlo, della Rsi svizzera e di SkyTg24, oltre ad alcuni repertori trovati negli archivi di piccole tv private”. 

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