Il ruolo dei migranti per l’innovazione di genere

Francesca Falk, reader di Storia delle Migrazioni all’università di Berna, doppia cittadina (svizzera e italiana), ha pubblicato lo scorso anno un libro dal titolo “Gender Innovation and Migration in Switzerland” (Innovazione di Genere e Migrazione in Svizzera). Il lavoro affronta il tema di come la migrazione abbia reso possibili nuove forme di vita e mostra come questo processo abbia generato innovazione di genere in diversi campi: la mutevole divisione del lavoro, la creazione di un’infrastruttura per l’asilo nido, l’accesso all’istruzione superiore per le donne e la lotta per il suffragio femminile. In un’intervista del 2019 a Le Temps, Falk ha ricordato la storia di migrazione che ha segnato la sua famiglia: “Mia madre ha lasciato la sua città natale nel nord Italia all’inizio degli anni Settanta per stabilirsi in un piccolo villaggio nel cantone di San Gallo. In seguito racconta di essersi sentita come se stesse facendo un “viaggio nel passato”. Le mogli avevano bisogno del permesso degli uomini per lavorare. A pochi chilometri di distanza, in Appenzello, le donne non potevano ancora votare. I bambini venivano espulsi da scuola a qualsiasi ora del giorno, poiché si supponeva che una madre li aspettasse a casa. E quando mia madre ordinava i cosmetici, mio padre riceveva il conto.” Negli stessi anni, infatti, le donne in Italia avevano più diritti rispetto a quelle in Svizzera e nelle città del nord per loro lavorare era più normale, per quanto ci fossero anche grandi differenze all’interno del Paese. Il Bel Paese aveva inoltre già introdotto il suffragio femminile nel 1946 e negli anni Settanta c’era il congedo di maternità, mentre la parità tra i sessi era sancita dalla Costituzione. 

Nella sua ricerca, Falk ha mostrato un aspetto dell’immigrazione che è stato spesso trascurato dagli storici: persone con un’esperienza migratoria non sono solo individui in difficoltà o fonti di problemi, ma svolgono anche il ruolo di rivelare le carenze di una società. “Gli uomini e le donne italiani che arrivavano nel dopoguerra erano giovani e generalmente con un lavoro poco remunerativo. Nella maggior parte dei casi, entrambi i partner dovevano lavorare, a differenza della maggior parte delle coppie svizzere di quel periodo. Suppongo che se alle donne italiane fosse stato chiesto, allora, se avessero preferito stare a casa, molte di loro avrebbero risposto di sì, perché era una caratteristica delle famiglie benestanti”, ha detto la Falk nell’intervista a Le Temps.

Una conseguenza della manodopera straniera, della quale la Svizzera aveva bisogno per sostenere la sua crescita, è stato un aumento del numero di asili nido. Per soddisfare le esigenze dei lavoratori immigrati a Berna, ad esempio, la percentuale di bambini stranieri negli asili nido della città era del 60-70%. Solo dopo la crisi petrolifera del 1979, con il ritorno di molti migranti a casa, gli asili nido hanno cominciano ad aprire le porte alle famiglie della classe media svizzera. Questa nuova possibilità aiuterà a normalizzare l’idea di delegare la cura, mentre fino ad allora gli asili erano stati considerati dannosi per lo sviluppo dei bambini. 

Ancora negli anni Ottanta, nella Svizzera tedesca, “le madri che lasciavano accudire i propri figli si chiamavano Rabenmutter (madri dei corvi). Fino a poco tempo fa, l’ex rappresentante dell’SVP Toni Bortoluzzi sosteneva che i bambini collocati negli asili nido hanno un quoziente d’intelligenza inferiore a quello di chi sta in famiglia”, ricorda Falk.

Nelle ultime settimane è cresciuta in Svizzera l’attenzione verso il congedo di paternità. Ad oggi, non c’è parità tra i sessi: la legge prescrive che è compito delle donne prendersi cura dei bambini.

Nel discorso favorevole a delegare la cura dei figli ugualmente alle madri e ai padri, gli emigrati svolgono un ruolo importate, che Falk aveva già ricordato nella sua intervista al giornale citato: “In Svizzera, oggi ci sono più giovani che lavorano negli asili nido. E sembra che molti di loro abbiano un legame con la migrazione in una forma o nell’altra. Suppongo che questo sia dovuto al fatto che questi giovani uomini con nomi stranieri sono stati spinti verso professioni femminili a basso costo e di basso valore. Così facendo, essi contribuiscono a rompere la tradizionale divisione dei ruoli, anche se si tratta di un processo ambivalente.” 

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Il 27 settembre l’elettorato svizzero è chiamato a esprimersi sull’introduzione del congedo paternità a livello nazionale. Secondo un primo sondaggio realizzato dall’istituto di ricerca gfs.bern per conto della Società svizzera di radiotelevisone SRG SSR, il 63% delle persone interrogate si dice favorevole alla modifica di legge, con tassi di approvazione particolarmente alti nella Svizzera romanda (78%) e nella Svizzera italiana (72%).

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