Il viaggio in Italia di Dubček, il PCI e la nuova sinistra

di Amedeo Gasparini

Nell’autunno 1988 Alexander Dubček era all’Università di Bologna per una laurea honoris causa: il viaggio in Italia segnò il suo ritorno sulla scena internazionale. Rimasto una “non persona” per quasi vent’anni, rimase stupito quando ottenne il permesso di lasciare la Cecoslovacchia. Ricevuto da Nilde Iotti, Dubček incontrò poi Achille Occhetto, Bettino Craxi e Papa Giovanni Paolo II. Il suo arrivo in Italia era stato annunciato da un’intervista all’Unità di Renzo Foa. «L’università aveva fortemente voluto la sua presenza a Bologna, nonostante le autorità cecoslovacche non fossero così cooperative», ha detto Giovanni Molari (ANSA, 24 novembre 2021), rettore. Il viaggio in Italia fu il primo viaggio all’estero di Dubček dopo diciott’anni di esilio – non usciva dal paese dal 1970. Oltre che a Bologna e a Roma, era atteso anche a Venezia e Firenze.

Incontrò anche i rappresentanti delle coop e delle segreterie emiliane di CGIL, CISL e UIL. Occhetto, che gli dava del “tu”, disse: «Non è facile per me dire quello che ha rappresentato quell’incontro. […] Il PCI appoggiò fin dall’inizio la nostra politica e sostenne il nostro sforzo di ricerca ideale e di vie concrete per la rinascita del socialismo» (La Repubblica, 27 novembre 1988).

Se è vero che nel caso dell’intervento del 1956 in Ungheria il PCI si spaccò, sulla repressione della Primavera di Praga ci fu una condanna decisa della macelleria brezneviana. Il segretario di allora, Luigi Longo disapprovò le azioni di Mosca. «La sinistra vincerà solo se tutta nuova», disse Dubček a Foa in una intervista del 1990 (l’Unità, 21 aprile 1990), dunque post-svolta della Bolognina, quando falce e martello venivano abbandonati anche dai comunisti occidentali.

Quanto alla transizione da PCI a PDS, Dubček spiegò: «Continuo a nutrire una grande simpatia verso il Partito Comunista Italiano, non tanto per il suo nome quanto perché ha preso radicalmente le distanze […] dallo stalinismo e dal neo-stalinismo. Ha preso atto dei cambiamenti che avvenivano nei paesi avanzati dell’Europa democratica e ha compreso di dover rinnovare la propria politica».

Dubček riconobbe al PCI-PDS il tentativo di cambiare nome e di andare oltre il movimento comunista. Tuttavia, si mostrò tiepido rispetto agli psicodrammi politici italiani. Allora si apriva una nuova fase storica per la Storia occidentale e le sinistre del continente. Dopo il crollo del Muro di Berlino, Dubček guardava a una nuova sinistra moderna. «Per quello che riguarda noi, il nostro problema fondamentale oggi è quello di passare dal totalitarismo alla democrazia, da un sistema economico centralizzato a un’economia che prevede l’esistenza del mercato» (ibid.).

Dubček si mostrò aperto alla socialdemocrazia. Vide di buon occhio i programmi di una sinistra che tentava di rimuovere i calcinacci del muro di Berlino dalla propria Storia. «Vogliamo introdurre un’economia di mercato, ma nello stesso tempo sappiamo che non è una panacea. Vogliamo collaborare con i paesi più avanzati, ma non vogliamo scaricare i debiti sui nostri nipoti. […] Lo Stato democratico che stiamo costruendo […] dovrà riuscire a fissare con tempestività e precisione i presupposti per la libera impresa» (ibid.). Libera impresa, economia di mercato, Stato minimo: da non credere. Specialmente per una sinistra che era ostile a questi elementi. La capacità di cambiare idea e di osare e farsi interpreti del cambiamento necessario furono tra le qualità più stimabili di Dubček. L’abbraccio del libero mercato per chi tutta la vita aveva creduto al piano regolatore fu una rivoluzione.

Il Socialismo, spiegò, doveva combaciare con la parola democrazia. Un’impresa che a nessun partito comunista in Europa era riuscita. Dubček era un ottimista. Voleva una sinistra moderna che, finalmente, mettesse al centro l’essere umano. Voleva una società basata sulla tolleranza per il pluralismo e «la capacità di comprendere gli interessi generali della umanità» (ibid.). Se ai tempi della Primavera di Praga Dubček sognava un Comunismo democratico, con la sconfitta del Comunismo e dei comunismi, egli illuminò la via della sinistra verso la strada riformista e socialdemocratica. La socialdemocrazia immaginata di Dubček andava verso una società moderna che riconosceva il diritto alla proprietà e l’importanza della solidarietà e alla collaborazione tra gli individui. Alexander Dubček ha ancora molto da insegnare alla sinistra. Italiana e non solo.

(Foto tratta da YOUTUBE)

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami