«Immaginatemi come un elettricista del cuore. Ecco come la telemedicina ha rivoluzionato la gestione e l’assistenza dei nostri pazienti»

Intervista al Prof. Dr. med. Angelo Auricchio, Direttore di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione, Vice Primario di Cardiologia, Istituto Cardiocentro Ticino, Ente Ospedaliero Cantonale

di Cristina Penco

Per telemedicina si intende una forma di assistenza medica che utilizza le tecnologie delle telecomunicazioni e dell’informazione per fornire servizi di diagnosi, monitoraggio e cura a distanza. Attraverso i suoi strumenti, i medici possono effettuare visite virtuali, prescrivere farmaci, fornire consulenze, controllare i pazienti a distanza e persino guidare interventi chirurgici assistiti da robot.

A loro volta, e in determinate circostanze, i pazienti, anziché recarsi fisicamente presso un ambulatorio o un ospedale e fare anticamera nelle sale d’attesa, possono consultare i professionisti e ricevere indicazioni, rimanendo a casa propria, tramite videochiamate, piattaforme online o altre modalità di comunicazione virtuale disponibili utilizzando una connessione stabile a Internet.

In ogni caso, la classica prestazione sanitaria basata sul rapporto personale medico-paziente non viene sostituita, bensì solo integrata, affinché potenzialmente sia sempre più efficace ed efficiente facendo risparmiare tempo e soldi, facilitando l’accesso all’assistenza e a cure specialistiche e agevolando il monitoraggio e la gestione di situazioni croniche.

Una delle branche in cui la telemedicina è particolarmente attiva, a fronte delle sue peculiarità, è la cardiologia. Ne abbiamo parlato con il Prof. Dr. med. Angelo Auricchio, Direttore di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione, Vice Primario di Cardiologia, Istituto Cardiocentro Ticino, Ente Ospedaliero Cantonale.

Il Prof Angelo Auricchio

Di telemedicina si è cominciato a parlare già negli anni Settanta, ma da allora il termine ha assunto nuovi significati. Si tratta, del resto, di una disciplina in continua evoluzione, anche grazie ai progressi tecnologici e a fronte delle esigenze sanitarie che vanno delineandosi nella nostra società. In ambito cardiologico com’è nato tutto quanto?


«Negli anni Settanta e Ottanta l’avvio della telemedicina è avvenuto soprattutto per seguire i pazienti affetti da scompenso cardiaco, una condizione cronica in cui il cuore non pompa efficacemente il sangue nel corpo, frequente in coloro che sono stati colpiti da infarto. Stiamo parlando di soggetti che devono essere seguiti molto da vicino. In particolare, all’epoca, la telemedicina ha mosso i primi passi sostanzialmente con tre strumenti per la rilevazione della pressione arteriosa, della frequenza del battito cardiaco e del peso. Tuttavia, i mezzi tecnologici non erano ancora all’avanguardia – come lo sono, invece, quelli attuali – e, a poco a poco, l’idea è stata parzialmente accantonata».


Quando è ripreso l’interesse per questo settore, con l’aggiunta di nuovi progressi?

«Nel 2020, con la pandemia, è stato necessario continuare a seguire alcuni pazienti a distanza controllandone i vari parametri. In seguito all’emergenza sanitaria, dunque, si è verificata una rivoluzione culturale. Il Covid ha fatto da spartiacque, ha segnato una grande differenza rispetto al nostro modo di interagire con i pazienti. Da quel momento, infatti, la telemedicina è tornata alla ribalta e ha vissuto un importante sviluppo».

Quali applicazioni concrete consente attualmente questa frontiera in ambito cardiologico?


«Oggi con la telemedicina possiamo controllare a distanza e seguire a livello terapeutico, a domicilio, i pazienti che sono portatori di pacemaker, defibrillatori e monitor cardiaci o, ancora, di apparecchi di resincronizzazione cardiaca. Sono tutti quanti una sorta di microcomputer impiantati sottopelle. Dialogando a distanza con questi sistemi, interrogandoli e scaricando varie informazioni, possiamo rilevare tempestivamente eventuali problemi dei dispositivi o eventi clinici importanti. Per fare comprendere meglio il mio mestiere, dico spesso che mi considero un po’ una specie di elettricista del cuore…».


Oltre ai dispositivi impiantabili, come quelli che ci ha appena illustrato, sono stati implementati anche dei device indossabili a scopo medicale. In che cosa consistono e a cosa servono?

«In questo caso parliamo di apparecchi progettati specificamente per la cura a distanza, sempre più adattabili al corpo umano e a basso consumo energetico, che permettono di migliorare la qualità di vita e prevenire alcune patologie. Attraverso dei sensori, simili a quelli degli smartwatch e dei fitness trackers, quei dispositivi raccontano a noi medici la quotidianità del paziente, per esempio quanti passi fa al giorno e in che posizione dorme, ma ci permettono di capire, sempre per fare un esempio, se il cuore faccia fatica a pompare il sangue e quindi ci sia la presenza di acqua nei polmoni. In simili circostanze, possiamo intervenire tempestivamente».

Una delle sfide contemporanee sembra rappresentata dall’intelligenza artificiale, cioè dalla capacità degli algoritmi computazionali di apprendere dai dati in modo che gli stessi algoritmi possano eseguire dei compiti automatici, senza che sia necessario un intervento umano. Che impatto avrà questo scenario nel campo della medicina?


«Oggi esistono già degli strumenti che consentono di gestire una grande mole di dati e di effettuare calcoli sulla base di informazioni rilevate su misura per i singoli pazienti. Gli algoritmi vengono via via affinati e migliorati. In prospettiva l’idea, per chi soffre di malattie cardiache, sarà quella di avere a disposizione una sorta di allenatore personale che segua la persona nell’arco della giornata attraverso indicazioni puntuali e personalizzate. Certamente, per quanto riguarda noi medici, ciò implica un cambiamento totale della maniera di gestire i nostri pazienti».

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