Incontro bilaterale Svizzera-Italia del 16.6.2020: un dialogo “too big to fail”

Incontro, nelle intenzioni.

Confronto, nei fatti.

In realtà: occasione per prendere atto che le relazioni fra Svizzera ed Italia, tema della visita in Canton Ticino di martedì 16 giugno tra il Ministro degli affari esteri Luigi Di Maio ed il suo omologo elvetico Ignazio Cassis, resta viziato dalla ingombrante presenza di un terzo incomodo: il Covid-19.

Ed ecco quindi che il dialogo tra i due Paesi, da sempre abituati a mediare tra le rispettive peculiarità socio-economiche, oggi si trova involontariamente rallentato da un elemento esterno, la pandemia, che paradossalmente conduce le parti a convergere su un comune denominatore costituito proprio dalla lotta al virus.

Nei discorsi ufficiali la sintonia tra i due ministri, anche a livello di relazioni personali, si è percepita chiaramente. Entrambi hanno riconosciuto di essersi mantenuti in stretto contatto anche nei momenti di difficoltà causati dalla diffusione del contagio.

Ad esempio: facilitando il rimpatrio dei rispettivi connazionali trattenuti all’estero.

Oppure per consentire il transito delle merci, che l’Italia non ha mai fatto mancare alla Confederazione anche quando le frontiere tra i due paesi erano ufficialmente chiuse. Riconoscenza dovuta anche per il personale sanitario, cui le autorità della Repubblica italiana hanno consentito di lavorare nelle strutture ospedaliere svizzere quando in Italia gli infermieri rimasti sembravano insufficienti ad assolvere i loro compiti.

Anche la solidarietà svizzera si è concretizzata nei fatti: Di Maio e Cassis hanno entrambi ricordato nella conferenza stampa la consegna alle strutture ospedaliere italiane degli attesissimi presidi chirurgici svizzeri destinati al personale sanitario impegnato nelle corsie degli ospedali dell’Italia.

Ma l’incontro svoltosi al Museo Vincenzo Vela di Ligornetto tra i due ministri degli esteri non si è limitato ad un semplice elenco di buoni ed amichevoli propositi. È servito a prendere coscienza anche dei temi che rimangono in attesa di soluzione. Primo fra tutti: la firma da parte italiana dell’accordo bilaterale del 2015, già sottoscritto dalla controparte elvetica, il che consentirebbe una revisione della tassazione dei lavoratori frontalieri italiani attivi nella Confederazione.

Anche la questione di Campione d’italia, che ha ormai abbandonato il suo status di extra-territorialità con regime amministrativo svizzero per diventare a tutti gli effetti parte del territorio doganale della Unione Europea, si conferma prioritario nei colloqui fra i due Paesi; in particolare a causa dei debiti di Campione verso i fornitori ticinesi cui consegue il blocco da parte delle autorità elvetiche di parte dei ristorni di imposta sulle tasse prelevate ai frontalieri e dovute all’Italia. Di seguito, ma non ultimo, la necessità di aggiornare le relazioni fra i due governi in tema di migrazione, altro tavolo di discussione ancora aperto.

Ma le discussioni italo-svizzere, che in effetti fra breve vedremo essere due estremi destinati a convergere, hanno preso atto anche di un punto a favore recentemente segnato dalla diplomazia italiana. In particolare, avere guadagnato la fiducia delle autorità europee che, dopo alcune esitazioni iniziali, ormai hanno garantito anche all’Italia i fondi del Recovery Fund, il cosiddetto Fondo europeo per la ripresa, per aiutare il paese a superare le difficoltà economiche causate dalla pandemia virale. Si tratta di un riconoscimento non da poco per l’Italia, cui la comunità internazionale in tal modo attribuisce importanza sistemica nello scacchiere geo-politico continentale. In altri termini: come accade per le piu’ importanti istituzioni finanziarie mondiali, l’Europa ha riconosciuto che anche l’Italia è “too big to fail”, è troppo importante per essere abbandonata al suo destino.

In queste relazioni tra le diplomazie internazionali la Svizzera solo apparentemente sembra essere relegata ad un ruolo di spettatrice. In realtà non è così. Tra le contropartite dell’aiuto europeo infatti troviamo la richiesta all’Italia da parte delle autorità di Bruxelles di risolvere alcune delle sue storiche carenze, come ridurre il divario nord-sud del paese e semplificare l’apparato normativo. È un processo lento, ma cui il paese ora difficilmente potrà sottrarsi, e che non deve essere interpretato secondo le osservazioni avanzate dalla cronaca quotidiana. Anzi, probabilmente si tratta dell’inizio di una fase di rinnovamento dell’Italia il cui realizzarsi porterà beneficio anche alla controparte svizzera.

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