INTERVISTA CON LEA HUNGERBÜHLER, FONDATRICE DI ASYLEX

di Simona Bonardi

La possibilità per l’individuo, ogni individuo, di conoscere la legge, esercitare i propri diritti, assolvere i propri doveri è fondamentale per la tutela delle libertà di ognuno e del bene comune. Il buon funzionamento del sistema nel supportare, guidare, monitorare l’individuo nel suo esistere come singolo o parte di varie collettività è un buon indicatore dello stato di salute dello Stato di Diritto. Al contrario, preoccupazione e azioni correttive sono necessarie laddove il diritto di individui vulnerabili non sia onorato, specie se disatteso proprio in virtù quello stesso stato di vulnerabilità. Ne parliamo con Lea Hungerbühler, fondatrice e presidente di AsyLex, ente no-profit con sede a Zurigo che offre servizi legali gratuiti ai richiedenti asilo in Svizzera.

Lea Hungerbühler, come è iniziato il suo impegno per la tutela legale dei richiedenti asilo?

Tutto è iniziato cinque anni fa, nel corso di una vacanza. Dopo la laurea in Giurisprudenza all’università di San Gallo, avevo iniziato a lavorare in importanti studi legali specializzati in servizi per aziende. Nel corso di una vacanza in Australia, un giorno in cui ero in spiaggia con un’amica, una donna ha avuto un malore in acqua. Un uomo l’ha trasportata a riva e la mia amica, che è medico, l’ha rianimata mentre aspettavamo l’ambulanza. Mentre tutto accadeva davanti a me – il soccorso, l’esecuzione delle procedure di emergenza – e senza che io potessi essere di aiuto, sono stata assalita da domande per le quali non avevo una risposta: Chi sono? Ho forse sprecato il mio tempo e le mie risorse studiando materie inutili? Cosa posso fare con le mie competenze per aiutare altri in difficoltà? Da questa esperienza è nata l’idea di andare in Grecia per provare ad aiutare i richiedenti asilo in arrivo sulle isole.

Com’è stata la sua esperienza in Grecia?

Sono partita sola e non conoscevo nessuno. Tramite una piccola organizzazione che già operava sul luogo con alcuni volontari, avevo saputo che sull’isola di Samos c’era bisogno di aiuto. Sono stata una dei primi avvocati sull’isola. Fornivo ai richiedenti asilo informazioni sulle procedure e sui loro diritti; li accompagnavo alle interviste con le autorità. Il sistema non era preparato alla mia presenza, alla presenza di avvocati in generale, e ogni volta che ho accompagnato qualcuno è stata una lotta. Ma ha funzionato. Del resto annunciarsi non era possibile, sicché mi recavo di persona all’ufficio dove le persone aspettavano di essere ascoltate. Se la loro intervista era il giorno stesso, li preparavo e poi li accompagnavo.

Com’è stato, poi, il ritorno alla “normalità”, in Svizzera, dopo l’esperienza in Grecia?

Il ritorno alla vita “normale” è stato durissimo. Ogni cosa sembrava un lusso: il cibo, la casa, il letto. L’idea di AsyLex, o almeno il seme, è nato in Grecia, ma è maturata dopo il mio ritorno in Svizzera. Volevo fare qualcosa come avvocato nel mio Paese. Sapevo che le mie competenze avevano il massimo potenziale in Svizzera; in Grecia, non conoscendo la lingua né il sistema, non ero neppure in grado di presentare un appello.

Ho studiato la legge svizzera sull’immigrazione da autodidatta; ho imparato lavorando, con l’aiuto di professionisti esperti. È diventato più facile dopo la nascita di AsyLex – a ogni nuovo evento ho incontrato persone pronte a offrire le proprie competenze e il proprio aiuto – ma all’inizio ho lavorato da sola, prendendo in carico i casi di richiedenti asilo arrivati a me per passaparola. Dopo quel periodo “di prova”, ho preso due settimane di vacanza dal mio lavoro e, nel corso di una vacanza alle Maldive, dove ho cercato totale isolamento, ho definito l’identità di AsyLex: la missione, la strategia, lo scheletro di quello che sarebbe successivamente diventato il nostro sito. Una volta tornata, ho creato il team.

Quale immagine si è fatta mondo della cooperazione internazionale e del sistema, nel corso della sua esperienza?

La mia esperienza in Grecia è stata scioccante, ma quello che ho visto non è poi così diverso da quello che ho conosciuto in Svizzera. Ho imparato che lo Stato di Diritto non conta in materia di migrazione. Mentre ero a Samos, ho incontrato un’avvocata statunitense a sua volta volontaria. Un giorno ha perso la calma: “Cosa posso dire ai miei clienti?! Niente funziona in pratica, niente funziona secondo la legge!” Nonostante tutto quello che sappiamo di quello che avviene negli Stati Uniti, inclusa la separazione delle famiglie e i bambini che appaiono in tribunale a discutere dei propri casi, ho la sensazione che lo Stato di Diritto funzioni meglio negli Stati Uniti che in Europa – del resto la separazione delle famiglie avviene anche qui, mentre l’apparizione dei bambini in tribunale è in applicazione della legge vigente: legge sbagliata, certo, ma applicata. Anche la mia opinione sulle organizzazioni non governative è molto cambiata da allora. Prima di andare in Grecia, avevo fiducia in tutte, grandi e piccole; sono tornata con una pessima opinione delle grandi, o almeno la maggior parte di loro.

Dopo l’esperienza in Grecia, ho una pessima opinione di molte grandi organizzazioni non governative.

Per esempio, ho rinforzato la mia fiducia in Medici Senza Frontiere, di grande aiuto in tutte le realtà che ho incontrato. Un esempio negativo è invece UNHCR, agenzia delle Nazioni Unite, che, in realtà molto difficili (come per esempio il Sudan), compie un lavoro importante, ma che in Europa, e in particolare in Grecia, dove non gestisce i campi di accoglienza, ha invece un ruolo poco chiaro e di limitata utilità pratica, almeno in base alla mia esperienza. Quando ero a Samos, UNHCR era responsabile dell’organizzazione di riunioni settimanali di coordinamento con le NGO e le associazioni presenti sull’isola – riunioni sempre cariche di tensione, anche quando utili. Per quanto riguarda invece la situazione attuale, non ho molte informazioni; so per esempio che, dopo l’incendio che ha distrutto il campo di Moria sull’isola di Lesvos, UNHCR ha portato tende destinate a ospitare i rifugiati: è un bene? Portare tende in un campo profughi chiuso, e perciò di detenzione, assolve forse la missione di proteggere i rifugiati?

Lei ha detto che la separazione delle famiglie avviene anche in Svizzera. In quali circostanze? E come avviene?

Sì, la separazione delle famiglie avviene anche nell’Unione Europea e in Svizzera. In Svizzera, per esempio, nel caso in cui i genitori siano in detenzione amministrativa prima del rimpatrio forzato, i bambini sono loro stessi detenuti (bambini molto piccoli le cui madri siano in detenzione) oppure dati in affido – in seguito a una separazione forzata e traumatica, generalmente attuata dalla Polizia e senza preavviso. La legge sembra garantire ai bambini il diritto a vivere, ma, per qualche motivo, non ai genitori – se il bambino ha diritto a vivere in Svizzera, comunque non ha il diritto di richiedere il permesso di restare per i propri genitori. Esistono anche casi di minori detenuti (15-18 anni) – in applicazione della legge svizzera, ma in violazione della Convenzione dei Diritti dell’Infanzia. Anche se molti Cantoni ne hanno ridotto l’applicazione, la detenzione amministrativa dei minori è tuttora legge.

La Svizzera è uno Stato di Diritto. Eppure non sembra essere tale in relazione ad alcune categorie, anche vulnerabili, come per esempio i richiedenti asilo. Paradossalmente, sembra che per il funzionamento dello Stato di Diritto, un po’ come per la democrazia, vi sia bisogno di osservatori imparziali e di cittadinanza vigile. Qual è la sua opinione al riguardo?

Credo che la causa principale di questo fenomeno sia il disinteresse dei cittadini. Le persone che hanno a cuore i diritti di migranti e richiedenti asilo sono in minoranza, oppure non hanno diritto di voto in Svizzera. Perciò i rappresentanti politici non sono chiamati ad agire. In questa situazione, gli impiegati pubblici non hanno alcun interesse ad avere empatia per i migranti, ma molto nella gestione delle deportazioni e dei rimpatri forzati.

Al di là della legislazione e delle procedure, che possono prevedere diritti diversi a seconda del gruppo demografico o del grado di vulnerabilità, ha osservato differenze di trattamento per uomini, donne e bambini? Chi ha più problemi a far valere i propri diritti?

Non amo fare categorizzazioni, che spesso contribuiscono ulteriormente a danneggiare il sistema e gli stessi aventi diritto. Per esempio, poiché i minori non accompagnati hanno diritti particolari, in risposta alla difficile situazione in Grecia, sono noti i casi di genitori che hanno abbandonato i propri figli nella speranza che venisse dato loro un futuro. 

Tornando alla domanda, comunque, in base alla mia esperienza, i più esposti a violenza e abuso, spesso proprio da parte delle forze dell’ordine o delle guardie dei campi, sono spesso gli individui considerati meno vulnerabili: uomini giovani e in salute.

Specialmente per un richiedente asilo, la lingua gioca un ruolo cruciale e può costituire una barriera insormontabile. Quale ruolo gioca la lingua nel lavoro di AsyLex e come avete superato questo ostacolo all’interno del vostro team?

Può sembrare strano, ma la lingua è stata la barriera più facile da superare per AsyLex. Contiamo su una squadra di traduttori meravigliosi, spesso loro stessi rifugiati o richiedenti asilo. Anche se la lingua ufficiale del team è l’inglese, grazie all’aiuto della tecnologia (per esempio i traduttori automatici) e ai nostri volontari, AsyLex offre i propri servizi in più di quindici lingue – un numero che continua ad aumentare.

I mezzi finanziari, necessari per il funzionamento strutturato e affidabile di un’organizzazione, sono, in modo particolare nel mondo no-profit, strumento e barriera. Come il denaro impatta il lavoro e il funzionamento di AsyLex?

L’affitto di un ufficio e gli stipendi (un COO al 50% e due stagisti) sono completamente coperti da fondazioni e rimborsi giudiziari. Contiamo invece su donazioni private per la copertura di spese di stampa e di spedizione degli appelli e della corrispondenza in generale, per l’acquisto di biglietti ferroviari per i volontari e i clienti (incontri preparatori e appuntamenti con le autorità) e infine per la formazione interna dei volontari (AsyLex Academy). 

Esiste una specie di preconcetto secondo il quale non serva denaro per svolgere lavoro legale e che le persone ricevano comunque un legale d’ufficio assegnato loro dallo Stato. Ma la verità è che se non commetti alcun crimine non hai diritto a un legale; perciò, paradossalmente, sono proprio le persone che non hanno mai infranto la legge ad avere bisogno del nostro lavoro.

Com’è cambiata l’attività di AsyLex in conseguenza del COVID? E quali effetti ha avuto il COVID sui richiedenti asilo in Svizzera?

Il team di AsyLex era già organizzato per lavorare da remoto, quindi non abbiamo dovuto introdurre alcun cambiamento. I soli effetti che la pandemia ha avuto sul nostro lavoro sono stati indiretti, causati dalle limitazioni alla mobilità internazionale. Per esempio, poiché i rimpatri non possono essere eseguiti a causa della pandemia, abbiamo vinto cinque casi davanti alla Corte Suprema in relazione a situazioni di detenzione amministrativa. Per il resto, il sistema ha continuato a lavorare senza grossi ritardi, attuando misure amministrative e logistiche per il rispetto delle norme di sicurezza e del distanziamento sociale. Vale la pena di menzionare che, proprio in conseguenza della situazione attuale, al confine si stanno attuando respingimenti sistematici, in violazione della legge internazionale.

Per sapere di più su Asylex o sostenere il loro lavoro, visita il loro sito ufficiale

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