La mobilità alternativa funziona se condivisa dalle comunità

di Marco Nori, CEO di ISOLFIN

Le emissioni dovute ai trasporti, a partire da quelle dei veicoli privati su gomma, sono la seconda fonte di inquinamento nell’Unione Europea: lo studio dell’International Council on Clean transportation parla del 29%. I dati si riferiscono al 2018, ma la tendenza è in costante crescita. Se vogliamo ambire agli obiettivi sanciti nell’Accordo di Parigi, che punta a contenere il global warming al di sotto dei 2 gradi Celsius entro il 2050, non possiamo stare con le mani in mano. Ma se non vi sono dubbi sulla necessità di agire, più difficile è trovare la strada da seguire.

Per limitare l’uso delle auto occorre partire dalle città e dal loro hinterland: un cambio di rotta in un grande o medio agglomerato urbano coinvolgerebbe inevitabilmente molte persone e le municipalità si sono spesso rivelate più vicine alle comunità che amministrano.  

Difficile, tuttavia, puntare tutto su una ricetta vincente. Per cambiare le abitudini delle persone, gli interventi possono essere di due tipi. Da una parte la «carota», con incentivi a chi si converte a comportamenti virtuosi. In questo caso hanno bene funzionato i benefit, sotto forma di biglietti gratuiti, ai dipendenti che raggiungono il posto di lavoro con i mezzi pubblici. Dall’altra parte il «bastone», ovvero le penalità destinate a chi non modifica le vecchie, e meno sostenibili, abitudini: possiamo pensare, ad esempio, all’introduzione di parcheggi a pagamento per quei dipendenti della stessa azienda che proprio non vogliono rinunciare alla propria auto. Spesso si tratta di due facce della stessa medaglia: i ricavi dei parcometri potrebbero essere utilizzati per finanziare le corse sui mezzi alternativi e il bilancio, aspetto da non sottovalutare, ne beneficerebbe. Questa è la combinazione che, come si legge nel Case studies on transport policies di P. Kuss, K.A. Nicholas pubblicato in marzo, ha dato migliori risultati tra lavoratori e studenti.

Poi vi sono le amministrazioni comunali che hanno ampliato le zone a traffico limitato. Il rovescio della medaglia consiste nella necessità di creare un sistema alternativo basato sull’utilizzo di mezzi pubblici e privati che vanno dalle navette di ultima generazione alle strade dedicate a pedoni o biciclette. E chi ha deciso di diminuire la disponibilità di posti auto in centro, allo stesso tempo ha provveduto a realizzare parcheggi scambiatori lungo la cinta urbana.

Hanno dato buoni risultati, ma convincono di meno, l’introduzione di pedaggi agli automobilisti che vogliono raggiungere il cuore della città a bordo del proprio mezzo, come a Londra, o l’incremento del costo dei parcheggi in centro. È una questione di equità: chi ha più risorse, potrebbe continuare a fare quello che faceva, magari pagando qualcosa in più. Più che un diritto, pare un privilegio.

Significativo, inoltre, un altro dato che emerge dallo studio. Tutte queste innovazioni, per raggiungere i target, funzionano se supportate da strumenti tecnologici di ultima generazione, a partire dalle app che tracciano i percorsi dei bus oppure ci aggiornano sulla disponibilità di posteggi e biciclette pubbliche. A fronte di nuove routine che richiedono qualche sforzo in più in capo ai cittadini, questi strumenti hanno il compito di semplificarci la vita. In altre parole: l’obiettivo è chiaro a tutti e le strade per raggiungerlo sono diverse. È fondamentale che le persone, troppe volte relegate ruolo di utilizzatori finali, vengano coinvolte, fin dai primi passi, nel percorso che porterà a queste scelte che toccheranno da vicino la loro quotidianità.  

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