La pandemia delle prossime crisi economiche

L’arrivo dell’ultimo trimestre di questo imprevedibile 2020 ci sta ricordando anche la esigenza di impostare nuove e più solide fondamenta per il nostro futuro, in particolare economico. È questo il tema della relazione “Le premesse internazionali per conciliare debito sovrano e necessità dei creditori privati: prospettive, sfide, ed opzioni possibili”, pubblicato in questi giorni dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), organo intergovernativo cui collaborano la Banca Mondiale, il dipartimento finanziario delle Nazioni Unite e le maggiori banche centrali internazionali. Partiamo da un dato di fatto. L’esperienza della pandemia, e tra breve la distribuzione su scala mondiale dei vaccini necessari a riportarci alla normalità, evidenziano che problemi globali vanno affrontati con soluzioni altrettanto globali e coordinate. È un cambio di paradigma che dalla sanità iniziamo ad applicare anche in altri campi: sociale, politico, ambientale, ma soprattutto finanziario; e senza perdere tempo, perché il COVID ha fatto esplodere l’indebitamento a livello mondiale. Rispetto alla fine dello scorso anno, ricorda il FMI, nel 2021 si prevede che il rapporto tra debito e valore dei beni prodotti a livello nazionale (PIL) aumenterà del 20% nei Paesi sviluppati, del 10% nei mercati emergenti, le economie di seconda fila, e del 7% per le nazioni a basso reddito, inevitabili ultime. 

Il problema nasce proprio qui. Perché sono variazioni che interverranno su bilanci statali che già oggi sono appesantiti dalle cifre rosse. A questo mal comune ogni Paese reagisce per conto proprio. Le principali economie aumentano il debito pubblico e assorbono liquidità dai mercati internazionali. Contemporaneamente, le altre nazioni, quelle che non possono vantare un merito di credito di primario livello, per ottenere dai mercati i sospirati finanziamenti debbono sottostare a condizioni sempre più onerose. Insomma, ai meno abbienti in cerca di credito tocca contendersi le briciole dei capitali disponibili e pagarli a caro prezzo.

Ecco perché proprio per questa seconda categoria di debitori sovrani, avverte il FMI, il futuro inizia a presentarsi con tinte sempre più fosche. Superata l’emergenza sanitaria, per loro inizierà quella economica, accompagnata da un inevitabile strascico di austerità fiscali, fughe di capitali e fallimenti aziendali. Siamo a un punto di svolta: a noi decidere se il decennio che si è aperto con il 2020 sarà da ricordare come una occasione persa, oppure per averci offerto una opportunità che siamo riusciti a sfruttare per avviarci verso un equilibrio economico globale e condiviso. Cosa fare? Come sempre, prevenire è meglio che curare. È difficilissimo rinegoziare un debito quando ormai è inesigibile, dopo un default. Perché, osserva nella propria relazione il gruppo di lavoro del Fondo Monetario Internazionale coordinato dalla direttrice Kristalina Georgieva, l’insolvenza di un Paese è il risultato finale, ma non la causa, del crollo di produzione industriale, investimenti, finanziamenti al settore privato, e delle richieste di nuovi prestiti. Questi ultimi sono tutti segnali, allarmi, patologie che anticipano la successiva crisi di un debito sovrano. Meglio pensarci per tempo, prevenire. Al momento, ricorda il FMI, “l’intervento concertato agli inizi della pandemia tra banche centrali, amministrazioni fiscali ed istituzioni finanziarie internazionali, accompagnato da un dialogo fra creditori e debitori, ha potuto scongiurare una crisi debitoria”. Ricordiamolo: il problema non è risolto, ma solo rimandato. “Questi rimedi, sia pur necessari, tra breve si confermeranno provvisori. Infatti”, prosegue lo studio del FMI, “a fine 2020 scade la moratoria sui debiti internazionali, la Debt Service Suspension Initiative, approvata lo scorso aprile in pieno lockdown mondiale dai ministri delle finanze e dai governatori delle banche centrali delle venti maggiori economie internazionali”, il G20, riunitosi virtualmente per rispondere a sollecitazioni giunte dal FMI e dalla Banca Mondiale. Sinora il Fondo Monetario Internazionale ha erogato finanziamenti straordinari per 31 miliardi di dollari a sostegno di 76 nazioni in difficoltà. È il futuro che dunque continua a preoccupare; due i motivi. Innanzitutto perché, anche nel 2021 ma non solo, saranno necessari nuovi prestiti. Poi perché la liquidità iniettata nelle economie emergenti è servita a proseguire, ma non a concludere, i negoziati con i loro creditori internazionali. Insomma i problemi torneranno non appena le nazioni debitrici non ripagheranno il dovuto. Quindi è necessario prorogare almeno fino alla fine del prossimo anno la moratoria sui debiti dei Paesi in difficoltà, la Debt Service Suspension Initiative che abbiamo appena citato, eventualmente coordinandola con l’annuncio di interventi puntuali da parte di FMI e Banca Mondiale. Questo permetterà di sfruttare il tempo ancora a disposizione per ristrutturare velocemente i debiti in corso, diretti e indiretti, cioè pubblici e privati. “Ignorare la presenza di un debito finisce sempre per complicarlo”, è l’opinione del FMI. Queste considerazioni, prosegue lo stesso Fondo Monetario Internazionale, non rappresentano che la cornice, il perimetro del vero problema di fondo: riformare la struttura dei debiti internazionali, l’architettura, l’intreccio dei rapporti politico-finanziari che reggono le relazioni fra Stati, mercati, e creditori governativi. Il richiamo è diretto al Club di Parigi, l’associazione informale dei rappresentanti degli istituti finanziari attivi nelle principali 22 economie mondiali, fra le quali, consoliamoci, troviamo la Svizzera ma anche l’Italia, e che, grazie alla mediazione proprio del FMI, periodicamente si riuniscono nella capitale francese per consultarsi sullo stato del debito dei Paesi in difficoltà. “Siamo ad un punto di svolta,” avvertono gli esperti del Fondo Monetario internazionale: “non possiamo più permetterci di rimanere inerti e poi trovarci ancora sprofondati in crisi economiche internazionali, con l’inevitabile seguito di insolvenze e difficoltà che finiscono per colpire soprattutto le nazioni più deboli. È giunto il momento”, conclude il FMI, “di attivarci e costruire un sistema finanziario che ci risparmi dal rischio di nuove catastrofi”. Paradossalmente, a sensibilizzarci sulla urgenza di questa situazione è stata proprio l’esperienza del COVID-19, che, in questo 2020 ormai prossimo alla conclusione, ci ha ricordato che da una pandemia sanitaria a una pandemia economica il passo può essere più breve di quanto si possa immaginare. Ma altrettanto distruttivo.

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami