La qualità ci salverà: come i media reagiscono alla digitalizzazione

Sfide e soluzioni a confronto tra privati e servizio pubblico in un evento CORSI

Foto: L’evento CORSI è stato il primo appuntamento in streaming organizzato nel nuovo Studio 3 Visual Radio della RSI, a Comano. Immagine @RSI

Di Giorgia Reclari Giampà

Essere digitali, raggiungere i giovani. È ormai il mantra che si ripete tutti i giorni chi lavora nei media e nella comunicazione. Ma nessun guru del settore ha ancora ideato una formula magica universale in grado di risolvere i problemi con cui sono confrontati i mezzi di informazione. E allora ognuno cerca la propria ricetta, sia i privati che il servizio pubblico.
Delle sfide della digitalizzazione nei media si è discusso in un recente evento online promosso dalla CORSI in collaborazione con l’Associazione ticinese dei giornalisti.

La giornata-tipo di un inviato del Corriere della Sera
“Io sono entrata alla redazione Esteri del Corriere della Sera negli anni 90: era un altro mondo” ha esordito Barbara Stefanelli, vicedirettrice dello storico quotidiano, raccontando la giornata-tipo di un inviato oggi. “Questa mattina il nostro corrispondente è partito per Israele, poi ha partecipato a un incontro su Clubhouse, ha seguito le informazioni sui social, ha scritto un testo per il sito del Corriere e intanto ha usato i suoi account collegati con quelli del Corriere per aggiornare le nostre pagine social. A quest’ora (le 21, ndr.) inizia a mandare i pezzi per il cartaceo. Una volta questo sarebbe stato l’unico impegno della giornata, oggi ha lavorato per 14 ore. Nel frattempo, in redazione si è svolto un lavoro parallelo di costante aggiornamento delle notizie”. La giornata, per i giornalisti di un quotidiano, tradizionalmente non iniziava prima delle 10 di mattina. Oggi la prima email dal gruppo di direzione del Corriere viene inviata alle 7, dopo la lettura e l’analisi degli altri giornali.  Poi alle 9.30 si svolge una riunione di redazione su Teams e inizia il ciclo di verifiche e di elaborazione dei contenuti sulle diverse piattaforme digitali. “Rispetto a 30 anni fa è davvero un altro modo di fare informazione – ha commentato Stefanelli – ma risponde comunque sempre alla stessa esigenza: avere una voce riconoscibile. Nonostante il flusso incessante di informazioni occorre avere una propria voce e attraverso questa riconoscibilità si struttura un rapporto di fiducia con i lettori”. Lo scopo è quindi la fidelizzazione e naturalmente l’aumento degli abbonamenti. Anche perché, come noto, gli introiti pubblicitari sono in caduta libera.

Da internet uno stimolo per la radio RSI
Anche la RSI si sta confrontando con la ricerca di nuovi canali per raggiungere il pubblico. Con la modifica delle modalità di fruizione cambia anche il tipo di offerta: “Con l’arrivo di internet la diretta non è più stata l’unica modalità di comunicazione, ma si sta sviluppando molto il settore dei podcast, che danno la possibilità di rileggere e riascoltare i nostri prodotti” ha spiegato Veronica Alippi, responsabile dell’informazione radio RSI. “Abbiamo anche scoperto di avere molti più concorrenti e questo rappresenta uno stimolo ad essere più originali”. I podcast sono lo strumento migliore per creare un legame con il pubblico: liberano da limiti di durata e frequenza, permettono una maggiore creatività e stabiliscono un rapporto di fiducia. Alippi ha ricordato anche le limitazioni imposte dalla legge alla SSR sul web (volute per evitare una concorrenza eccessiva del servizio pubblico nei confronti dei privati), per cui i testi non possono superare le 1000 battute. “Cerchiamo quindi di avere dei team che creano prodotti multivettoriali in modo da sfruttare tutti i canali a disposizione”.

La posizione unica del servizio pubblico è stata sottolineata anche da Mario Timbal, direttore della RSI: “Noi abbiamo un ruolo particolare nell’ecosistema digitale, con gli svantaggi sui media digitali derivanti dalle limitazioni federali, ma anche alcuni vantaggi: la gratuità dell’offerta e l’elevata qualità di immagini e audio che forniamo”. Per il neodirettore il passo da compiere ora è cominciare a lavorare per competenze e non a compartimenti stagni delle singole trasmissioni.

Come stanno evolvendo i media
Ci sono tre macrotendenze che hanno caratterizzato l’impatto del web sui media, ha evidenziato Colin Porlezza, professore dell’Istituto di media e giornalismo dell’Università della Svizzera italiana.
Prima di tutto l’interattività ha modificato il ruolo del pubblico e quello del giornalista. L’informazione non viaggia più a senso unico, quindi le nuove strategie redazionali implicano la creazione di una comunità di fruitori che interagiscono con chi produce notizie.
Si sta poi modificando nuovamente il ruolo del giornalista: nei primi anni 2000 tutti puntavano sulla convergenza, sia tra redazioni (le newsroom) sia tra i vettori. Si puntava molto sulla multimedialità, per esempio con gli esperimenti della radio in streaming. Negli ultimi anni si assiste invece a un processo di deconvergenza, con la creazione di team di specialisti che si occupano di funzioni particolari. Si è realizzato che un giornalista non può fare tutto.
Infine, acquisisce sempre maggiore importanza l’analisi dei dati e delle metriche (cioè i parametri di misurazione delle performance online), che produce effetti sulle decisioni editoriali. L’uso dei dati può avere una deriva unicamente commerciale (pubblicare solo contenuti che attraggono clic: leggeri e che generano emozioni) oppure possono fornire da base per analisi e approfondimenti (data journalism).

Minacce e opportunità
Una delle sfide maggiori da superare è l’abitudine alla gratuità dell’informazione online, sempre più urgente visto il crollo degli introiti pubblicitari per tutte le testate. “Oltre il 60% degli investimenti pubblicitari va alle piattaforme multinazionali che gestiscono i social network e non agli editori che pubblicano le notizie. Inoltre, secondo alcuni studi la disponibilità degli utenti a pagare per i contenuti online è bassissima (il 13% in Svizzera, il 10% in Italia)” ha sottolineato Porlezza. E quindi qual è la soluzione? “È importante la creazione di una comunità di lettori/fruitori, bisogna fidelizzare alle testate. I modelli di business possono essere diversi ma devono puntare verso questo obiettivo”.
Per fidelizzare il pubblico – su questo punto gli ospiti della serata erano tutti d’accordo – occorre puntare sulla qualità, essere autorevoli e riconoscibili. Stefanelli è convinta: “Se ci affideremo solo a informazioni in pillole, meme e notizie curiose non sopravviveremo altri 145 anni: dobbiamo puntare comunque su approfondimento, valore e qualità”. Bisogna rompere l’equazione web = notizie brevi, le ha fatto eco Porlezza, ricordando che ci sono esempi di long read (testi lunghi) che funzionano molto bene sul web, soprattutto per testate che lavorano con abbonamenti e con un pubblico di nicchia.

L’idea di notizia dei giovani
Ma tutto ciò funziona anche con i giovani? Questo è il cruccio di tutti. “I giovani hanno una concezione diversa di notizia – ammonisce Porlezza – Per noi una notizia è ciò che ci fa sapere cosa succede di rilevante nel mondo. Per i giovani la notizia deve essere utile per se stessi, piacevole e interessante. È difficile per i giornalisti professionisti andare incontro a questo tipo di richiesta”. Alippi ha ricordato che anche i giovani riconoscono una fonte autorevole, lo dimostra il successo di format come Spam, creato dalla RSI per i giovani da una redazione di giovani (ventenni).

È possibile rivedere il video dell’evento sul sito CORSI: www.corsi-rsi.ch.

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