La rivoluzione della bottega sotto casa

di Marco Nori, CEO di Isolfin

Finita la pandemia non ritroveremo lo stesso panorama di due anni fa. Costretti al distanziamento imposto dall’emergenza sanitaria, abbiamo preso confidenza con app, pagamenti online e delivery: una rotta che, passata la tempesta, sarà impossibile invertire. Per troppo tempo abbiamo delegato le scelte agli algoritmi che ci fanno risparmiare qualche centesimo e qualche minuto, ma impoveriscono il tessuto sociale delle città e delle comunità. Questa tendenza, tuttavia, non è una novità degli ultimi mesi e non tutte le colpe sono del Covid.

Per rendersene conto, basta guardare alle cifre dell’Italia. A febbraio, secondo i dati diffusi dall’Istat, il clima di fiducia dei consumatori ha continuato la sua discesa da 114,2 a 112,4. Numeri dietro ai quali si nasconde una tendenza non inaspettata: la ripresa si farà attendere ancora qualche tempo. E i primi a farne le spese saranno gli operatori che sostengono i negozi di vicinato. Corriamo il pericolo, quando torneremo a frequentare con assiduità i centri delle nostre città, di trovarci di fronte a tante vetrine vuote.

Lo spartiacque che ha stravolto il mondo del commercio è l’entrata in scena di Amazon nel 1994. Nato come sito per la vendita di libri, oggi è la piattaforma di e-commerce più diffusa al mondo che si occupa di tutto e fa concorrenza a tutti, dalla ferramenta ai negozi di lusso. Ma oggi Amazon non è più una semplice piattaforma di e-commerce con 1,5 milioni di dipendenti gestita da imperscrutabili software: è un confidente, un compagno di lavoro e un amico che ci affianca tutto il giorno con intelligenza artificiale. Come se non bastasse, questo colosso si articola su una potentissima rete di server a cui si appoggiano altri enti, dalla Bbc a Netflix fino alla Cia, per le proprie attività. Oramai è questo il business più redditizio lanciato Jeff Bezos. Una concentrazione unica nella storia, che si avvicina alla fantascienza piuttosto.

La pandemia e la crisi ucraina non hanno fatto altro che complicare una matassa già ingarbugliata. Rimane un cauto ottimismo verso la ripartenza, ma il commercio perde addetti e aumentano le serrande abbassate. Anche le grandi catene internazionali che oramai caratterizzano il cuore di tutte le città stanno riorganizzando i propri sforzi: il gruppo H&M ha annunciato, la scorsa estate, la chiusura di 350 negozi, di cui otto in Italia.

Sfogliando i quotidiani italiani, nei giorni scorsi, una notizia ha catturato la mia attenzione. Il Corriere della Sera parlava di due ragazzi ventenni, una di Firenze e l’altro di Faenza, cittadina romagnola, che hanno deciso di condividere il proprio percorso di vita. Per farlo, hanno deciso di trasferirsi a Casaglia, frazione di Marradi (Fi), borgo isolato sulle creste dell’Appennino abitato in inverno da 28 anime, che diventano 250 in estate: chi va per trovare un po’ di fresco, chi per tornare alle proprie radici. I ragazzi hanno rilevato la bottega del paese dove si vende un po’ di tutto. La sfida è impegnativa: non sarà facile far tornare i conti e speriamo che l’entusiasmo suscitato nei dintorni si traduca in entrate. Ma la spinta che li muove non è certamente legata a qualche spicciolo o a un algoritmo. Il futuro è certamente nei grandi conglomerati e del commercio online, ma le botteghe di vicinato sono incroci di umanità. Sta a noi levare lo sguardo dal monitor per guardare negli occhi chi sta dietro al bancone. E vederci dentro il futuro di una comunità.

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