La storia di Luciana Delle Donne: “Made in Carcere”, il lavoro inteso come cura per i detenuti

di Gabriella Chiarappa

Ex manager bancaria di successo, Luciana Delle Donne è l’anima, il corpo e la mente della onlus «Made in Carcere». La sua missione? Coinvolgere i detenuti dando loro un lavoro e un futuro. Da manager rampante ad “angelo delle detenute”: una persona che lascia un lavoro e uno stipendio da top-manager per mettere su famiglia e dedicarsi al sociale o è decisamente eccentrica oppure ha qualcosa di speciale. Luciana Delle Donne, 51 anni ben portati, modi da ventenne e spirito da sedicenne, è un po’ folle e molto speciale: nel 2004 ha lasciato Milano e il mondo bancario, dopo aver ideato il servizio di banca multicanale e con in tasca una proposta di lavoro a Londra (con ulteriore aumento stipendio) per tornare nella sua Lecce. Qui nel 2007 la Delle Donne fonda Officina Creativa, una cooperativa sociale non a scopo di lucro, e nasce il marchio “Made in carcere”. In questo posto si producono manufatti sostenibili che sono confezionati da donne ai margini delle società. Tutto nasce con le sartorie, ma la Delle Donne è una vera forza della natura, e pian piano sta sperimentando anche nuovi settori, a partire da quello della pasticceria.

Luciana come e quando ha deciso di istituire questa ONLUS?

Il progetto Made in Carcere nasce dall’entusiasmo e dal desiderio di lavorare con chi vive ai margini della società, così da creare un nuovo modello di economia che io definisco “riparativa” e “rigenerativa” in quanto positiva per l’individuo, la comunità e l’ambiente. L’idea è quella di trasformare la detenzione in una molteplicità di valori, come la rieducazione personale, l’abbattimento della recidiva e la sostenibilità ambientale. Per questo, ormai oltre 14 anni fa, ho interrotto volontariamente una raggiante carriera nel mondo della finanza per dedicarmi alla vocazione etica del sociale”.

Quali sono le caratteristiche che contraddistinguono i prodotti Made in Carcere, realizzati appunto dalle detenute?

“La forza di Made in Carcere consiste non solo nella produzione in carcere di accessori e abiti, ma anche nell’utilizzo di materiali recuperati attraverso donazioni da parte di imprenditori illuminati, che invece di mandare al macero tessuti e rimanenze di magazzino, decidono di destinarle alla produzione di questa realtà pugliese di eccellenza. Per questo, i manufatti Made in Carcere oltre ad esprimere bellezza, consapevolezza e felicità, sono un vero “investimento per un buon futuro”. Il nostro obiettivo è, infatti, quello di diffondere un nuovo stile di vita – “New Philosophy and Lifestyle” fatto di inclusione sociale e sostenibilità ambientale.  I manufatti Made in Carcere rappresentano la filosofia della rinascita. Una seconda chance per le donne detenute ed una nuova vita per tessuti ed oggetti”.

Con il suo progetto ha dato una seconda opportunità a chi pensava di non averne più. Com’è cambiata la vita di queste persone?

“Sin dagli inizi dell’attività, Made in Carcere ha dato lavoro a centinaia di persone in stato di detenzione e ha favorito la loro riabilitazione attraverso l’acquisizione di nuove competenze e la reintegrazione nel tessuto produttivo e sociale del Paese. Parlando di numeri l’esperienza di Made in Carcere conferma quanto stabilito dalle statistiche, cioè che l’80% delle persone che lavorano in carcere non tornano in carcere. È un dato significativo se comparato al tasso di reiterazione del reato registrato in Italia, pari sempre dell’80% al contrario. Cioè chi non ha esperienze di lavoro durante la detenzione, torna a commettere reati e quindi, oltre al danno, rappresenta un costo per la Comunità, di circa 60.000 euro l’anno. Per esattezza, nella nostra esperienza la percentuale di abbattimento della recidiva è quasi del 100%”.

Come si spiega questi ottimi risultati?
“Questo avviene, in particolare, perché oltre all’attività “ufficiale” il nostro metodo opera sottotraccia. Perché se è vero (ufficialmente) che si vendono accessori ben disegnati e curati, in realtà si ricostruiscono vite. Si costruiscono capacità e valori intangibili”.

Attualmente, quanti detenuti lavorano con Made in Carcere? 

Partendo dalla prima Maison Made in Carcere abbiamo avviato altri 3 laboratori tessili all’interno degli Istituti Penitenziari di Trani, Matera e Taranto. Oltre alle sartorie, abbiamo rivolto l’attenzione verso nuovi settori: nel carcere minorile di Bari abbiamo avviato una pasticceria certificata biologica, che realizza e vende biscotti vegani le “Scappa-telle”, e collaboriamo con un’altra pasticceria già avviata presso il minorile di Nisida. Attualmente siamo circa 40 in totale, tra persone in stato di detenzione e no. Stiamo formando altri 65 soggetti detenuti nell’ambito del progetto BIL. Negli anni abbiamo ampliato le nostre attività fuori dalle carceri sviluppando e sostenendo l’avvio di Sartorie Sociali di Periferia. Al momento, oltre alla Puglia – Lecce, Taranto e Bari – siamo arrivati anche a Verona, Grosseto e Catanzaro e, grazie al sostegno di Fondazione CON IL SUD, stiamo accompagnando nella crescita altre 6 cooperative partner del progetto BIL – Benessere Interno Lordo stimolando riflessioni e consapevolezza tra le comunità dentro e fuori dal carcere”.

Come è organizzato il lavoro tra i detenuti oggi, con una pandemia in corso e le problematiche del momento?

“Paradossalmente in modo molto efficiente. Sono stati fatti dei passi da gigante nella relazione con il mondo esterno. Infatti, come conseguenza della pandemia, è stato possibile avviare comunicazioni telematiche. Le videochiamate hanno accorciato notevolmente le distanze e creato un collegamento tra l’inside e l’out. Le persone in stato di detenzione hanno finalmente avuto la possibilità di vedere le proprie famiglie, che magari vivono in altre città d’Italia o in un altro Paese, di gettare lo sguardo nella loro casa e sentirsi vicini. Anche noi abbiamo cavalcato l’onda della trasformazione digitale, un vero cambiamento positivo per salvaguardare la salute e la sicurezza di tutto il team “Made in Carcere”, dentro e fuori le carceri”.

Quali sono i prossimi step e i prossimi obiettivi che si pone per Made in Carcere?

Il prossimo step per noi è rappresentato dal progetto Social Academy, che permetterà alle persone in stato di detenzione di ricevere un’adeguata formazione nei settori – tessile, agricolo, alimentare e falegnameria – in cui Made in Carcere si è specializzata nel corso degli anni. Anche l’Università della Repubblica Dominicana ci ha scelto per poter trasferire nelle loro carceri di Santo Domingo e Rafey la nostra competenza ed esperienza. Abbiamo costruito per loro la nostra “cassetta degli attrezzi” con tutte le informazioni utili per avviare un modello di impresa sociale come la nostra, tenendo conto che lo scambio ha come principale obiettivo quello di rendere il nostro modello di “economia rigenerativa” quanto più replicabile possibile, così da aumentare l’impatto sociale generato. Diciamo sempre: ‘Vogliamo che gli altri ci copino’, perché siamo sempre più convinti che dare e darsi sia la nuova frontiera della ricchezza”.

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