L’Afghanistan, i talebani e il coraggio delle donne

di Giovanna Guzzetti

in foto la politica e attivista afghana Fawzia Koofi (courtesy of Chatham House, London). Fa parte della delegazione governativa che tratta con i talebani

Sedici milioni di splendidi soli – a tanto ammonta la popolazione femminile dell’Afghanistan – rischiano una eclisse totale. Di lunghissima durata, imprevedibile al momento. Sulla carta le donne afghane sono una marea umana, una vera force de frappe, ma l’Emirato Islamico che si è impadronito ufficialmente del paese asiatico il 15 agosto con la presa della capitale, Kabul, non sembra particolarmente impaurito dai numeri a cui non associa concetti e termini come rispetto e diritti umani.

Adesso il mondo occidentale, lo stesso che di fatto ha riconsegnato l’Afghanistan ai talebani, già conosciuti e sperimentati, sembra (ri)scoprire, con ingenuo candore, i pericoli che correrà l’altra metà del cielo, quella che dal 2001 aveva potuto ricominciare ad alzare la testa, frequentare scuole ed università, lavorare, avere cariche pubbliche, avere accesso al microcredito. Eppure, l’Afghanistan, quello che oggi si identifica con masse informi di burqa che da abiti si sono trasformati in vere e proprie prigioni della bellezza, dell’intelligenza e dell’apporto femminili, nell’iconografia resa virale dai social era un luogo dove, a inizio anni Settanta, le ragazze, soprattutto dei grandi centri urbani, frequentavano l’università, con abbigliamento moderno che strizzava l’occhio più a Mary Quant che all’Islam integralista. E sempre lo stesso Afghanistan, negli anni Venti, grazie ad una regina illuminata, Soraya, rendeva l’istruzione obbligatoria per bambini e bambine fino alla quinta elementari. L’istruzione – e stiamo parlando di un secolo fa! –  era il presupposto chiave perché la popolazione femminile, tradizionalmente destinata a ruoli così subalterni che non prevedevano né richiedevano livelli minimi di alfabetizzazione, potesse “avere voce”. 

Rapiti da una furia iconoclasta i Talebani (che, non dimentichiamolo, significa studenti coranici) stanno procedendo sistematicamente alla distruzione di questi pilastri di civiltà. Nelle campagne, dove sono arrivati prima, hanno rapito le bambine per darle in spose a miliziani; dopo iniziali dichiarazioni tatticamente inclusive (diritti delle donne rispettati nel nome della sharia…) è partita la caccia a chi aveva collaborato con le forze occidentali, con le ONG, la Croce Rossa. Donne che spesso si sono date alla macchia temendo per la loro vita. Tra le eccezioni Fawzia Koofi, prima donna vicepresidente dell’Assemblea nazionale. Emblematica la sua storia e la sua missione. Oggi lotta per tutte le afghane lei che, appena nata nel 1975, fu esposta al sole perché morisse, in quanto femmina. Oggi, invece, le mamme afghane lanciano i figli al di là del filo spinato verso un futuro migliore che non sanerà mai abbandono e solitudine. E vengono in mente, per contrappasso, le parole di Tagore sulla maternità: “E per paura che tu fugga via ti tengo stretto nel mio cuore. Quale magia ha dunque affidato il tesoro del mondo nelle mie esili braccia?” che forse le donne afghane non conoscono, ma che sintetizzano il loro sommo amore. E il loro strazio.

Una classe di bambini a scuola in un villaggio in provincia di Paktia in Afghanistan (2007)
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