Putin non fa mai il passo più lungo della gamba Crimea, Ucraina ed elementi di politica estera imperiale russa

di Amedeo Gasparini

Sono passati otto anni dalla crisi della Crimea, 28 febbraio-19 marzo 2014, al termine della quale la Russia di Vladimir Putin annesse arbitrariamente la penisola sul Mar Nero. Otto anni dopo l’Ucraina è ancora nel mirino di Mosca. Sotto pressione per non aderire alla NATO, Kiev è molto corteggiata dall’ingombrante vicino. Il clima velenoso da guerra civile e le sotto-repubbliche filorusse del Donetsk e Lugansk pongono la fragile Ucraina in bilico tra due mondi. Tra liberaldemocrazia e autoritarismo. Tra i tentativi di assorbimento dell’Occidente e la prospettiva colonizzatrice post-sovietica. Cacciata dal G8 e sanzionata per il caso della Crimea, il Cremlino ha continuato a fare pressioni sull’Ucraina. Non ha rinunciato al desiderio di annessione del paese, che s’inserisce nel suo disegno neo-imperiale. Forte dei successi in Cecenia, dell’esercito onnipotente e della leva del gas con cui ricatta l’Europa, Putin non fa mai il passo più lungo della gamba.

In gennaio, non ha conquistato il Kazakistan, ma ha mandato un segnale a Qasym-Jomart Toqaev. Non ha inglobato la Bielorussia, ma supporta Alexander Lukashenko nel tentativo di indebolire le frontiere europee. Non ha invaso la Siria, ma usa Bashar al-Assad come cane da guardia in Medioriente. La Wagner s’infila in tutti gli anfratti dei teatri di conflitto e fa gli interessi del Cremlino. Tuttavia, i successi geopolitici dello zar servono a distogliere l’attenzione dalle condizioni in cui versa il paese. In Russia non c’è libertà politica. Le opposizioni sono in galera, ai domiciliari, o sottoterra. Gran parte dei media è controllata dal regime. Le ong scomode al Cremlino sono chiuse. I dissidenti avvelenati o eliminati anche all’estero tramite la repressione transnazionale. L’economia campa per metà del PIL grazie all’export di gas e petrolio. Gli oligarchi sono onnipotenti e corrottissimi. Molti giovani chiedono cambiamenti istituzionali. E quando possono se ne vanno.

Il tenore di vita è basso e il paese non è moderno. Per questo Putin preferisce giocare le sue carte con la Storia all’estero. In questa sede si rifà alla Dottrina Sinatra. Termine coniato da Gennadi Gerasimov, si ispira alla canzone “My Way”. Nell’URSS gorbacioviana indicava l’astensione formale di Mosca dagli affari interni dei paesi del Patto di Varsavia. Era ed è solo teoria, visto che Mosca ha sempre interferito nei paesi che riteneva di sua proprietà. Putin cerca vendetta nei confronti di Europa e Stati Uniti tramite uno stand up nazionalistico che prevede il riscatto russo dalle umiliazioni post-Guerra Fredda. Alleata della Serbia, la Russia non mandò giù i bombardamenti in Jugoslavia (prima umiliazione). Stati Uniti e NATO avrebbero allora approfittato della debolezza della federazione per convincere le ex repubbliche sovietiche ad entrare nell’alleanza difensiva occidentale (seconda umiliazione).

Il leader russo rimprovera poi al suo padrino politico Boris Eltsin il discredito internazionale e il flusso di privatizzazioni a guida occidentale degli anni Novanta (terza umiliazione). Putin ha argomenti per voler riabilitare la Russia sul piano internazionale come grande potenza. Così si giustifica il suo bullismo geopolitico. I grandi progetti neo-imperiali della cleptocrazia passano attraverso manovre di disturbo inter-nazionali.
1) Dividere e conquistare (Ucraina).
2) Supportare i tiranni locali nella repressione del dissenso (Libia ed Egitto).
3) Finanziare partiti populisti e antisistema (Italia e Francia).
4) Sferrare attacchi cibernetici e spargimento di notizie false (Stati baltici e Stati Uniti).
Secondo Timothy Snyder (The Road to Unfreedom), l’essenza della politica estera russa è il “relativismo strategico”. Visto che la Russia «non può diventare più forte, deve rendere gli altri più deboli». Cioè «renderli più simili alla Russia».

Da qui il continuo seminare di crisi per il giustificare un intervento con la scusa dell’instabilità. «La guerra russa contro l’Ucraina è sempre stata un elemento della più ampia politica per distruggere l’Unione Europea e gli Stati Uniti» (ibid.). La vittoria in Crimea ha rafforzato Putin, ricordano Ivan Krastev e Stephen Holmes (La rivolta antiliberale). «Quando critica l’Occidente, oggi il Cremlino usa lo stesso vocabolario di cui si serviva l’Occidente per trattare con disprezzo i sovietici […]: l’Occidente ha perso la fede in Dio; cerca di distruggere la famiglia […]. Si propone come difensore e Redentore di una Vecchia Europa tradita dall’Occidente decadente» (ibid.). Per Putin è legittimo ammassare soldati alle frontiere e accusare il paese vittima di provocazioni. Lo fece anche la Germania hitleriana con la Polonia.

Accusare Occidente e NATO di minare alla stabilità della Russia rientra nella strategia del vittimismo putiniano. Ma Lettonia, Estonia, Lituania, Georgia, Ucraina e Moldova non hanno mai attaccato la Russia. Storicamente è sempre stato vero il contrario. La conquista della Crimea è stato il primo mutamento territoriale con la forza nel Vecchio Continente dalla Seconda Guerra Mondiale. Al pari della Cecoslovacchia a Monaco, in gennaio l’Ucraina non è stata invitata alla conferenza che determinava il suo destino. Francia e Gran Bretagna consegnarono alla Germania i territori dei Sudeti nel 1938. Cinque mesi dopo, Berlino invase Boemia e Moravia. Se l’Occidente non si opporrà all’aggressività putiniana, come la Crimea, l’Ucraina tutta sarà annessa all’ex madrepatria.

www.amedeogasparini.com

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