Quando un caporale austriaco divenne Adolf Hitler

di Amedeo Gasparini

Anton Drexler era nazionalista estremista: inabile al servizio militare che gli evitò l’arruolamento nell’esercito guglielmino nella Prima Guerra Mondiale, nel 1919 fondò il DAP, Deutsche Arbeit Partei. La nuova piattaforma politica, una delle tante nella neonata Germania repubblicana, era profondamente antisemita, antisocialista, anticomunista e anticapitalista; fu in grado di sfruttare abilmente i malcontenti derivanti dalla crisi sociale post-bellica e dalle conseguenze del Trattato di Versailles. I discorsi di Drexler attirarono, tra i pochi, un certo Adolf Hitler, giovane squattrinato – che a differenza di Drexler aveva combattuto nella Prima battaglia di Ypres e in quella della Somme – che entrò nel movimento e si mise all’ombra dei gerarchi del micropartito – Karl Harrer, Gottfried Feder, ma soprattutto di Dietrich Eckart. Chi era Adolf Hitler prima di diventare quell’Adolf Hitler? Nato nel 1889 al confine tra stati europei che si rimescolavano a seguito di trattati e tensioni locali all’interno della multietnicità austroungarica, il giovane Hitler era un ragazzo pieno di rabbia e rancore, contro i socialisti, contro i nobili, contro il Kaiser.

Si dice che adocchiò la svastica da piccolo: mentre andava a scuola a Lambach, nel 1897 avrebbe visto il simbolo inciso su un monastero benedettino. Da bambino era tormentato dal padre, Alois Hitler, autoritario, collerico, nazionalista e spesso in preda a ubriacature e scatti d’ira, pure contro la terza moglie, Klara Pölzl, cugina di primo grado, di ventitré anni più giovane, madre di Adolf. Doganiere al confine dell’Alta Austria, Alois non era contento della sua condizione sociale: voleva un riscatto nazionale. Schernito dal padre per i suoi interessi artistici, pessimo profitto e rendimento alla Realschule – bocciò il primo e il terzo anno – dopo la fine della scuola dell’obbligo, il giovane Hitler andò e Vienna dove in seguito sarebbe stato respinto dall’Accademia delle Belle Arti. La morte della madre fu uno shock; era il dicembre 1907 – «il peggior Natale della mia vita», avrebbe confidato a Benito Mussolini nel loro ultimo incontro alla Tana del Lupo nel 1944. Il ritratto di Klara lo mise sul comodino fino alla fine dei suoi giorni, anche nel bunker berlinese.

Povero e senza orizzonti, per mantenersi faceva anonime illustrazioni da strada. Breve il soggiorno a Liverpool dal fratellastro del padre. Hitler tornò dunque a Vienna, dove – in semi-miseria – rimase dal 1908 al 1913, quando venne a contatto con l’antisemitismo più feroce. La Grande Guerra gli diede uno scopo e uno stipendio: Hitler si arruolò nell’esercito tedesco, non in quello austroungarico; «quel crogiuolo di popoli inferiori mi aborriva», avrebbe scritto nel Mein Kampf. Sconfitta la Germania, il patriottismo tedesco non si spense con il Trattato di Versailles. L’odio per la Junkertum “traditrice” permase – un conflitto, quello con i nobili germanici, che durò fino ai primi anni di Cancellierato, visto che questi disprezzavano il caporale, l’extracomunitario Hitler. Il quale odiava la dinastia degli Asburgo perché la vedeva come simbolo del vecchio, dell’ibrido, dell’aristocrazia degenerata che rinnegava le origini ariane dell’Austria e il territorio dei Sudeti.

Hitler aveva preso ben poco dalla tradizione conservatrice prussiana, post-feudale, elitaria. Era paradossalmente più di sinistra. Inoltre, il suo antisemitismo era anticapitalistico, antiborghese e radicato nel territorio dov’era cresciuto. Il primo discorso pubblico di Hitler è del 16 ottobre 1919, davanti a centoundici persone a Monaco. Sebbene fosse ancora frastornato dalla guerra e dalle sue conseguenze, Hitler aveva poche idee, ma in compenso ben chiare. Il riscatto post-Grande Germania doveva passare per la via nazionalista, tramite a stigmatizzazione dei nemici interni al paese (gli ebrei) e l’uso delle leve dello Stato per risollevare l’economia distrutta dal conflitto. I punti del programma dell’oratore delle birrerie rimasero pressoché invariati fino all’ascesa al potere quattordici anni dopo. La burocrazia della Repubblica di Weimar aveva adocchiato il DAP in cui Hitler si stava facendo strada e, ben prima del Putsch di Monaco, lo indicò come una potenziale minaccia alla fragile democrazia tedesca.

Senza neppure consultarlo, Drexler iscrisse Hitler – tessera numero 55 – al partito dei lavoratori. Sarebbe stato Hitler stesso a convincere Drexler, nel febbraio 1920 a cambiare il nome del DAP, aggiungendo l’aggettivo nazionalsocialista; il mese successivo introdusse nella simbologia del nuovo NSDAP quella svastica che aveva visto da giovanissimo. Assieme alla riunificazione del popolo tedesco, alla rivitalizzazione del settore industriale, all’antisemitismo patologico, il rigetto del Trattato di Versailles era uno dei capisaldi del partito. Il nazionalsocialismo sorse dalle idee socialiste, non dal prussianesimo conservatore. Criticando sia il Comunismo sovietico e il capitalismo americano, Hitler proponeva una via basata sul nazionalismo spinto e il Socialismo coercitivo. Nella retorica hitleriana, a finire sotto accusa sono sia il Comunismo – in particolar modo, la paura della peste rossa (incarnata ad esempio dalla Lega di Spartaco di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht) – sia il capitalismo americano liberale (di Woodrow Wilson) o protezionista (di Herbert Hoover) – che “affamava i lavoratori”.

La dottrina politica di Hitler era eterogenea e trasversale; ad ogni modo, social-statale. Il trait d’union di questa antitesi era l’ebreo. Nella balorda retorica nazista, l’ebreo capitalista ruba ai poveri; l’ebreo comunista invece conduce alla minaccia bolscevica. La “Judenfrage” era stata esacerbata artificialmente per creare un capro espiatorio nella Germania sconfitta. Ad ascoltare i discorsi del primo Hitler nessuno però si accorse che la maggior parte dei capitalisti e dei comunisti non era di origine ebraica, così come il NSDAP, che si definiva conservatore, aveva radici nella cultura socialista. Hitler era dunque in grado di parlare a pubblici diversi allo stesso momento – Drexler lo notò subito. Menzogna dopo menzogna, lo squattrinato caporale austriaco si era rifugiato nella politica e nell’aizzare i sentimenti di sfiducia delle classi lavoratrici. Grazie alle sue doti oratorie, il 29 luglio 1921, un secolo fa, Hitler divenne presidente del NSDAP. Drexler dovette accontentarsi di un titolo onorario; lasciò il partito 1923 e morì nel 1942, dopo un breve revival nel 1937 ad opera dell’amico, nel frattempo diventato Cancelliere e prossimo dichiarare guerra all’intera Europa.

www.amedeogasparini.com

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami