Rubens a Genova: capolavoro d’amore

Abbiamo visitato la mostra dei record, a Palazzo Ducale fino al 5 febbraio. Proviamo a raccontarvi questo meraviglioso intreccio di arte, storia ed emozioni

di Cristina Penco

Una dichiarazione d’amore. Un sentimento autentico, forte e ricambiato, all’insegna della reciprocità e della progettualità condivisa. È la sensazione che resta dopo aver visitato “Rubens a Genova”, l’esposizione-evento in corso a Palazzo Ducale, a Genova – prorogata fino al 5 febbraio 2023 – e incentrata sul racconto della grandezza di Pieter Paul Rubens (28 giugno 1577 – 30 maggio 1640). Ma non solo. Fu anche sotto la spinta del suo forte moto d’affetto, maturato nel rapporto intimo con il capoluogo ligure e i suoi abitanti, che Rubens creò opere straordinarie. Capolavori in grado di far emergere quanto le bellezze naturali della città, il fermento e lo zelo dei genovesi abbiano lasciato nell’artista un’impronta indelebile.

LA PRIMA OPERAZIONE DI MARKETING

L’occasione della mostra, prodotta dal Comune di Genova con Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura ed Electa per tornare a parlare del genio assoluto del barocco europeo, arriva dall’omaggio al pittore nordico in occasione del quarto centenario della pubblicazione ad Anversa del suo celebre volume ‘Palazzi di Genova’ (1622), firmato dall’artista 14 anni dopo il suo rientro in patria. Oltre a testimoniare il profondo sentimento, pregno di ammirazione e gratitudine, per un luogo che lo accolse e che contribuì molto alla sua crescita professionale, il libro “potrebbe anche definirsi come la prima grande operazione di marketing culturale della città”. Lo spiegano nell’introduzione della guida della mostra Nils Büttner, docente della Staatliche Akademie der Bildenden Künste Stuttgart nonché Chairman del Centrum Rubenianum di Anversa, e Anna Orlando, independent scholar genovese, co-curatrice della mostra ‘L’Età di Rubens’ tenutasi, sempre a Palazzo Ducale, nel 2004.

TUTTO L’ORO DEL SEICENTO

Con le opere di Rubens viene raccontata la storia della Repubblica di Genova all’apice della sua potenza quando, all’inizio del Seicento, conobbe un periodo di vivacità economica e culturale.

L’artista soggiornò in diverse occasioni nel capoluogo ligure tra il 1600 e il 1607, visitandola anche al seguito del Duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, presso cui ricopriva il ruolo di pittore di corte. Ma non dimentichiamo che Rubens era un uomo colto e preparato a prescindere da pennelli, tele e colori: fu anche diplomatico del Ducato di Brabante nei Paesi Bassi meridionali (l’odierno Belgio). I pannelli espositivi – accurati e puntuali mini-racconti nel Racconto, altrettanto degni di nota – riportano indietro il pubblico e lo fanno immergere nel vivo della Grande Storia accanto alla visione avvolgente dei dipinti.

Uno di essi sottolinea: “La città, vocata ai commerci e alle finanze, è ricchissima, colta, raffinata. La classe dirigente è intraprendente e laboriosa, come ad Anversa”. Rubens ebbe modo di intrattenere rapporti diretti e in alcuni casi molto stretti con i più benestanti e influenti aristocratici dell’oligarchia cittadina.

Tra il 1528 e il 1647, la Repubblica di Genova visse quello che è stato definito dagli studiosi il “Secolo dei Genovesi”, cento anni nel corso dei quali “La Superba” visse un momento irripetibile di sviluppo economico, politico e culturale.

RITORNI, INEDITI E NOTE SENSORIALI

Nell’ambito dell’esposizione spiccano oltre venti dipinti dell’artista, provenienti da musei e collezioni europee e italiane grazie a prestiti eccezionali e che, sommati a quelli già presenti in città, raggiungono un numero come non vi era a Genova dalla fine del Settecento; da quando, cioè, la crisi dell’aristocrazia con i contraccolpi della Rivoluzione Francese diede avvio alla diaspora di capolavori verso le collezioni del mondo.

Nella seconda parte dell’allestimento, bello e poetico è il racconto di Rubens e della sua pittura attraverso i quattro elementi della natura. “Le sue opere ci travolgono in un vero e proprio universo dei sensi: la sua arte è coinvolgente a 360 gradi: con il colore, la luce e il movimento che innesca forze centrifughe nello spazio”, leggiamo ancora nella guida curata da Anna Orlando. “Analogamente, i soggiorni in Italia e in particolare a Genova dovettero essere per lui una full immersion plurisensoriale nella bellezza”.

Si comincia con la terra, “con il senso tattile, con i piedi nella realtà”; si prosegue con l’aria, simboleggiata da uccelli dai forti simboli allegorici e preziose voliere; quindi è la volta dell’acqua, spaziando dai giardini estremamente curati, ricchi di elementi decorativi e architettonici, alle “caste Susanne”  e ad altre rappresentazioni di antichi miti impregnate di citazioni bibliche e classiche tra sacro e profano; e, infine, si termina con il fuoco, che subito richiama amore e passione, con l’assoluta protagonista di questo campo, Venere, potendo ammirare Rubens accanto a maestri indiscussi come Luca Cambiaso e Giovanni Battista Paggi.

Una menzione speciale va riservata alle abitazioni private genovesi, con vista sul mare e circondate da giardini meravigliosi. Dal 1576 molte di quelle residenze furono adibite alla funzione pubblica di “hospitaggio”, ossia divennero luoghi per accogliere le personalità straniere in visita di stato presso la Repubblica. È così che è nato il sistema dei “Rolli” (letteralmente, liste, elenchi), oggi inclusi nel Patrimonio dell’Umanità Unesco.

Accanto alla pittura celebrativa – con soggetti storici, sacri o ritratti – la committenza dell’élite genovese ama molto anche temi meno aulici, tratti dalla vita quotidiana, come, per esempio, i grandi mercati in città e i teatrini in piazza.

IL “CRISTO RISORTO”

Una delle grandi sorprese della mostra è il ‘Cristo risorto appare alla madre’, nascosto per quattro secoli e riaffiorato dal nulla. Per scelta del comitato scientifico responsabile, il suo restauro è stato fermato a metà, affinché tutti potessero vedere la curiosa storia esecutiva di un quadro dal soggetto insolito, tanto da essere frainteso e creduto un Cristo con la Maddalena, e dipinto due volte.

Era dato per disperso, il “Cristo risorto” di Rubens. La sua esistenza era nota grazie a un’incisione dell’olandese Egbert van Panderen, autorizzato dal maestro a riprodurre un suo dipinto. Vi era raffigurato Cristo con la Vergine inginocchiata: un episodio non presente nella Bibbia, bensì nei cosiddetti “Vangeli Apocrifi”, molto diffusi e cari al credo popolare. Da lì a poco, intorno al 1615, Rubens stesso coprì la figura di sinistra, ridipingendo la Madonna in una posa diversa e con il manto azzurro anziché violaceo.

“Il volto è molto espressivo e assolutamente convincente. Reca il tratto tipico del maestro”, commenta Orlando. “Ma era un originale anche la ‘prima’ Maria. Altrimenti Rubens non avrebbe autorizzato la riproduzione con il suo nome”. Forse non capiremo mai, aggiunge la curatrice, come sia andata davvero né quando l’opera sia arrivata a Genova. Alcune fonti, a partire dall’Ottocento, la ricordano prima nel palazzo Grillo Cattaneo, poi in due dimore della famiglia Cambiaso. Vari dubbi continuano ad avvolgere ancora oggi questo dipinto: per esempio, si trattava di una commessa diretta di un genovese al pittore o di un acquisto ad Anversa mentre Rubens era ancora in vita? Il suo fascino risiede anche in tutto ciò.

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