Se Ticino fa rima con vaccino

Sarà per la voglia di tornare a far la spesa in Italia o per imboccare senza problemi la strada per la Malpensa visto che l’aeroporto di Agno continua a non offrire voli, fatto sta che questa volta il Ticino sta in testa alla classifica dei cantoni per numero di abitanti vaccinati. I dati vengono aggiornati quotidianamente sul sito della Confederazione (www.covid19.admin.ch) e da giorni la mappa con le varie tonalità di verde (il colore del via libera, non a caso) spiccano per intensità molto simile Basilea Campagna e Sciaffusa (entrambi di poco sopra il 47% della popolazione) subito seguiti proprio dal Ticino con il suo rispettabilissimo 46,45%. Sorprendentemente sbiaditi e molte posizioni più indietro, ultimi in classifica, il Turgovia a 37,37% e Zurigo con un imbarazzante 34,45%.

Lascio ad altri meglio informati la spiegazione di questa sorprendente discrepanza, ma se devo pensare alla mia modesta rete di conoscenze trovo in quei cantoni anche una quota rilevante di persone contrarie alla vaccinazione, in maniera altrettanto sorprendente. D’altra parte, anche nel campo della prevenzione dei tumori il Ticino si è da anni dotato di un programma di screening del tumore al seno con mammografia biennale gratuita dopo i 50 anni mentre niente di simile esiste oltre Gottardo, fatta eccezione per i cantoni francofoni. Ci furono anni di dibattito anche molto duro su questo argomento con gli “zurighesi” convinti del fatto che siamo ormai capaci di curare il cancro al seno e che quindi è inutile spendere soldi per lo screening preventivo e noi e i romandi che rispondevamo che un conto è togliere un tumore di piccole dimensioni trovato alla mammografia e un altro conto è sopravvivere lo stesso ma dopo anni di cure con chirurgia, radioterapia e chemioterapia.

A Zurigo sono tutti no vax? Non credo proprio, ma certo vi è in generale una diversa visione della medicina, una grande fiducia nella tecnologia, nell’industria farmaceutica, nella diagnostica super invasiva e molto minor interesse per la prevenzione. Questa è una generalizzazione ovviamente perché ci sono sicuramente anche in quel cantone degli eminenti studiosi con una visione più olistica (cioè comprensiva della complessa relazione mente/corpo). Tuttavia, il dato sulle vaccinazioni fa pensare, così come fa pensare il 35% del cantone Friburgo, “patria” di tanti centri di medicina complementare e anche alternativa, di appassionati di omeopatia e quindi spesso ostili al concetto stesso di vaccinazione.

D’altra parte, come spiegato al solito molto bene da Massimo Recalcati qualche settimana fa, “farsi iniettare nel proprio corpo una sostanza estranea, seppure incaricata di difenderlo dal male, non è affatto scontato che sia visto da tutti come un beneficio e non solo per una valutazione razionale sugli eventuali effetti collaterali che il vaccino potrebbe, sia pure in minime percentuali, determinare”. Da eccellente psicoterapeuta qual è Recalcati ci ricorda che esiste una componente psicologica nel rifiuto a farsi vaccinare che non bisogna sottovalutare. Non molto diversa dalla paura di volare in aereo, dalla claustrofobia, dal ricevere un’anestesia generale o dal dover attraversare in auto un lungo tunnel. In tutti questi casi l’angoscia nasce dal sentimento di non poter governare la situazione nella quale ci si trova inclusi quasi forzatamente.

Anche chi è convinto, come chi scrive, che il vaccino anti covid sia una necessità sanitaria oggettiva che potrà debellare il virus, salvare vite umane e consentire la ripresa della nostra vita sociale, deve però tener conto delle ansie, delle resistenze, dei dubbi e delle paure di chi non si sente di andare a cuor leggero al centro vaccinale più vicino appena ricevuto l’invito a presentarsi. Non i fanatici no vax urlanti che ne fanno una questione ideologica e che liquidano la questione come il solito complotto delle multinazionali farmaceutiche che prima creano per errore il virus in laboratorio e poi fanno i miliardi vendendo il vaccino come antidoto. A questi signori risponda la politica. la medicina deve saper rispondere a chi ha una genuina “paura di volare” una paura dell’ignoto che in molti casi è assolutamente comprensibile.

Penso che le risposte possano essere di due tipi. La prima è storica. E qui va assolutamente citato (e letto) il bellissimo articolo di Corrado Augias su La Repubblica del 23 dicembre scorso: “la storia dei vaccini racchiude una delle più straordinarie avventure dell’ingegno umano, vale a dire la lotta, e la vittoria, contro un nemico invisibile, capriccioso, mortale. Nella seconda metà del Settecento il medico inglese Edoardo Jenner di Bristol sentì una giovane contadina vantarsi con un’amica di essere sfuggita al rischio di avere il volto butterato dal vaiolo dato che aveva già avuto il vaiolo delle vacche (da qui la parola vaccino). Questa particolare immunità non era un segreto nelle campagne inglesi ed europee. Jenner però volle andare in fondo organizzando un esperimento crudele, rischioso, oggi impensabile. Prese un bambino di otto anni, James Phipps, e ne fece la sua cavia. Gli praticò due graffi superficiali sul braccio per poi inoculare nelle scalfitture un fluido prelevato dalle pustole vaiolose presenti nella mammella di una vacca. Poi espose il piccolo James al contagio con casi di vaiolo umano e non successe niente. Il povero James, a sua insaputa, era diventato immune. Così mentre nel secolo della Rivoluzione Francese il vaiolo provocava la morte di quasi il 10 per cento della popolazione, a partire dal 1979 (dato OMS) questa piaga è scomparsa dal nostro pianeta. Stessa storia per tetano e difterite, per la rabbia e per la poliomielite. Ogni volta si corrono dei rischi, certo, e lo stiamo vedendo anche con il Covid19, ma l’esperienza storica è tutta favore del fatto che ne vale la pena.

Il secondo tipo di risposta è invece di tipo culturale e sociale e qui torniamo al pensiero di Recalcati. “La vita umana non può essere una monade chiusa su sé stessa, ma è fatta per stare insieme. E la condizione per stare insieme, in questa drammatica congiuntura, è solo quella della vaccinazione. L’angoscia della perdita di controllo si può vincere solo collettivamente: una delle lezioni più significative impartite dal magistero tremendo del Covid consiste nell’averci mostrato che la salvezza o è collettiva o è impossibile e che, di conseguenza, o la libertà viene vissuta come solidarietà oppure resta una dichiarazione solo retorica”.

Che in Ticino lo abbiano capito prima che a Zurigo allora? Che anche il senso della solidarietà collettiva sia una componente importante dell’italianità? Mi rendo conto della provocazione, ma a volte ci si può concedere di pensare a voce alta…

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