Vale anche per Mario Draghi. Nemo propheta in patria

di Giovanna Guzzetti

In foto: Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il Presidente del Consiglio Mario Draghi il 21 luglio 2022.(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio Stampa per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica). Fonte: Quirinale.it

Estate rovente quella del 2012. Il pensiero e il ricordo non vanno al termometro e alla temperatura percepita, ma allo tsunami monetario in area Euro. Non che non ci fossero stati segnali premonitori e molto evidenti. All’inizio dell’anno, dopo un finale 2011 davvero horribilis per il nostro Paese con le dimissioni dell’ultimo governo Berlusconi e l’arrivo dell’esecutivo tecnico, tutta austerità, di Mario Monti a fronteggiare la nostra crescente debolezza sui mercati internazionali e uno spread arrivato a sfiorare i 580 punti base, l’agenzia di rating Fitch dava per certo il fallimento della Grecia.

La Germania della Merkel, e dei suoi falchi, fortemente esposta verso il debito greco, si era vista respingere la proposta di trasferire la sovranità economica nazionale del paese ellenico a Bruxelles (la Troika arriverà 3 anni dopo con una terapia d’urto tutta lacrime e sangue per la popolazione). Per l’euro, divenuto moneta unica – per gli aderenti – a partire dal marzo 2002, è un momento che definire difficile, critico rasenta l’eufemismo. C’è il concreto rischio che il sistema salti, con grave pregiudizio dei paesi più deboli, quelli della periferia meridionale d’Europa, i cosiddetti Pigs (Portugal, Italy, Greece, Spain).

Chiaro che in una situazione del genere il ruolo della Banca Centrale Europea diventi cruciale. Ci vogliono competenza e nervi saldi a Francoforte per dipanare una situazione così ingarbugliata dagli esiti, a una prima lettura, molto incerti. Ma al vertice della BCE, da un anno, siede un banchiere di prim’ordine, con un curriculum, anche internazionale, di tutto rispetto e un precedente di governatore della Banca centrale del proprio paese di provenienza. Il suo nome è Mario Draghi, una vita di studi e di impegno, allievo stimato di Federico Caffè di cui non replicò la carriera universitaria per intraprendere quella di civil servant (e che civil servant!) che lo porta a essere governatore della Banca d’Italia dal 2005 al 2011. Lascia via Nazionale per trasferirsi sulle rive del Meno e, da lì, governare i destini della moneta unica europea.

Arriva, come visto, in uno dei momenti peggiori ma il suo aplomb, determinato e assertivo, è la chiave di soluzione del problema. Il 26 luglio 2012, a Londra, in occasione della Global Investment Conference, evento più di natura “privata” che istituzionale, Mario Draghi, considerato anche l’euroscetticismo che si respirava nella sede dell’incontro, pronunciò alcune frasi, sintetiche ed efficaci, destinate a passare alla storia.

Di fronte alle spinte centrifughe rispetto all’universo UE, chiuse il discorso con “The only way out of this present crisis is to have more Europe, not less Europe” (ci vuole più Europa non meno Europa). Dell’euro, la cui tenuta sembrava in serio pericolo, non solo disse che era “irreversibile” (con buona pace di Euroscettici e Italexit) ma indicò la strada perché diventasse più forte. “But there is another message I want to tell you. Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough”.

Rileggere oggi queste parole e sentirle riecheggiare nelle orecchie fa venire i brividi. Quest’uomo delle istituzioni ci stava tirando fuori – in ogni modo, costi quel che costi – dalle secche di una finanza pubblica internazionale arenata, senza alcuna spocchia e con grande determinazione, sapendo di dovercela fare perché l’obiettivo era troppo importante. Non solo per le casse degli Stati e/o le banche ma, in primis per i cittadini. Senza mai perdere umiltà e umanità, un tratto che gli veniva dalla convinzione della bontà della economia sociale di mercato, cara al suo Maestro Caffè.

Alle dichiarazioni di intenti del Whatever it takes sono seguite le azioni che hanno ridato vigore all’euro e una stabilità ai mercati fuoriusciti dalle crisi del 2007/2008 e 2011/2012. Certo, sul salvataggio della Grecia si sono addensate nubi per le ripercussioni sulla popolazione con l’arrivo della Troika, ma oggi Atene è tornata credibile sui mercati internazionali.  Il Portogallo ha avuto un progresso economico e sociale prima inimmaginabile. Lo stesso si può dire dell’Irlanda.

Oggi, in un mondo non diciamo ideale ma razionale, di discreta memoria, non solo si celebrerebbe il decennale di questa ricorrenza, martedì 26 luglio 2022, ma a Draghi si esprimerebbe eterna riconoscenza.

E invece…Mario Draghi è stato chiamato a inizio 2021 dal presidente Mattarella a ridare vigore all’Italia fiaccata dal Covid, un flagello associato ai problemi precedenti – elevato debito pubblico in testa -, e a implementare con tempismo, rigore ed efficacia, i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) finanziati con fondi europei.

Avrà sicuramente pensato, il buon Draghi, che anche in casa avrebbe potuto rendere concreto il suo whatever it takes e che, anche qui, sarebbe stato enough (abbastanza). Ma spiegarlo nella lingua madre, evidentemente, non è stato altrettanto efficace e convincente. Gli eventi sono sotto gli occhi di tutti. Nel mezzo di una guerra, con le materie prime energetiche alle stelle, una inflazione tricolore al 9 per cento, tasso che non si conosceva più dal 1986, a Draghi alcune forze parlamentari che sostenevano questo governo a maggioranza allargatissima (solo la Meloni di Fratelli d’Italia era all’opposizione dichiarata) hanno fatto lo sgambetto. In modo poco trasparente, con la conseguenza che SuperMario si è dimesso il 20 luglio 2022 nelle mani di Mattarella, spianando la strada ad elezioni anticipate (di qualche mese) che si terranno il 25 settembre 2022.

Non è tempo e luogo di analisi dietrologiche: il ventaglio delle ipotesi potrebbe essere ampio e potrebbe valere tutto ed il contrario di tutto. A una di queste ipotesi però non diamo alcun credito, quella della stanchezza di Draghi e di una sua exit strategy che volesse dissimularla questa stanchezza, giustificata anche dalle temperature roventi di questa stagione.

La lunga estate calda la affrontiamo con Draghi dimissionario che, ne siamo certi, fino all’ultimo giorno della sua permanenza a Palazzo Chigi farà tutto, whatever it takes, per il suo Paese e, soprattutto per gli Italiani che a gran voce gli hanno chiesto di restare. Gli Italiani erano sì pronti a confermargli la fiducia, i senatori della Repubblica non si sono espressi in modo chiaro, stentoreo, allo stesso modo. Niente di nuovo sotto lo stellone italico. Il paese reale continua a confermarsi migliore di quello legale. Grazie #MarioDraghi.

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