ZÜRICH FILM FESTIVAL 2020

Un Festival che mette al centro “figure molto umane”

di Dario Furlani

Con oltre 160 film presentati, il Zürich Film Festival 2020 diviene una delle prime manifestazioni cinematografiche a svolgersi normalmente dopo la pandemia. Svoltosi dal 24 settembre al 4 ottobre il festival ha accolto opere da tutto il globo, registrando un notevole aumento nel numero di pellicole presentate in anteprima mondiale o internazionale. Tra i numerosi lavori proiettati spicca l’atteso documentario girato in Cina durante l’esplosione di casi di COVID-19. Già presentato al Festival di Toronto e mostrato per la prima volta al pubblico europeo il 27 settembre, 76 Days ci riporta agli ancora vicinissimi giorni di tensione vissuti a Wuhan, negli infernali corridoi d’ospedale che tanto sono stati descritti dai media di tutto il mondo nei primi mesi del 2020. 

Un vero e proprio instant movie (un film nato, girato e distribuito in brevissima distanza da un grande evento mediatico o politico ndr.) che porta lo spettatore ad affrontare la realtà quotidiana vissuta da medici ed infermieri in quei giorni cruciali. 76 giorni, quelli di strettissima quarantena imposti alla città cinese, in cui si è combattuta una delle battaglie mediche più importanti e dure dell’ultimo secolo. 

La macchina da presa costantemente a mano segue il personale medico, reso totalmente irriconoscibile e quasi alieno dalle asettiche tute bianche che lasciano intravedere soltanto degli occhi stanchi e gonfi di stress. Si fa pian piano la conoscenza dei numerosi pazienti costretti a letto o intubati, con costanti espressioni di ansia dipinte addosso. Un anziano testardo che vuole riunirsi a tutti i costi con la sua famiglia, dei neo-genitori che aspettano trepidanti di prendere in braccio per la prima volta la loro neonata, un’infermiera distrutta dal dolore che implora di rivedere il padre deceduto un’ultima volta.

Tralasciato però l’indiscutibile valore umano del film, resta poca carne al fuoco. Non è presente una vera analisi della situazione generale, non si ha una visione più ampia della situazione, che comprenda la vita degli altri cittadini di Wuhan. Le disgrazie e i drammi che i medici hanno vissuto quotidianamente fanno leva su un naturale senso di compassione che smuove la coscienza dello spettatore, senza però accendere la scintilla della riflessione. Non nascono considerazioni terze e il documentario rimane ancorato a un’esposizione cruda e veritiera dei fatti, lasciando un senso di incompletezza.

Sempre appartenente alla sezione documentari è la pellicola dedicata a una figura diventata presto icona e ambasciatrice delle nuove generazioni: Greta Thunberg.

Vedere I am Greta senza conoscere la figura che si sta per andare a delineare è forse l’unico modo per godere appieno del lavoro di Nathan Grossman. Perché se l’essenza del documentario biografico verte sul dipingere una personalità e scegliere di evidenziarne luci e ombre, in questo caso l’opera tenta diplomaticamente di rimanere neutrale. Senza però esserlo veramente. 

Per riuscire a fotografare una figura pubblica nella sua interezza bisognerà per forza di cose andare ad ascoltare ed esaminare le voci contrarie, quelle che ne contestano l’operato. Si assiste sì alle dichiarazioni di diversi leader mondiali, da Putin a Trump passando per Bolsonaro, che si lanciano in forti critiche contro la giovane attivista svedese; ma esse sono liquidate in una sola scena con l’ausilio di una semplice risata della Thunberg. 

Lo smacco e il disappunto forse più grande del film è il mancato approfondimento del percorso da attivista dell’adolescente. Ci si limita a ripercorrere le tappe fondamentali della sua crescita nel mondo delle proteste per il cambiamento climatico, senza che si comprenda veramente l’entità dei suoi successi raggiunti. E se la pellicola traballa nel seguire la carriera di Greta, brilla invece nell’analisi psicologica della giovane. Tra i teneri commenti del padre, le intime scene in cui la Sindrome di Asperger esce e lascia intravedere vecchie cicatrici, e le sue stesse riflessioni (emblematica e toccante la presa di coscienza durante la traversata atlantica) si scopre un suo lato meno conosciuto al pubblico. 

I am Greta splende dunque nella rappresentazione umana di un’adolescente che ha abbracciato l’onere di essere il simbolo di un grande movimento. Zoppica però nel dipingere la figura dell’attivista.

Il Zürich Film Festival ha proposto quest’anno diverse opere con al centro la raffigurazione di figure umane molto intense. Dalla dolente madre di Charter al giovane sognatore di Gagarine, fino al vivace Fèlix di À l’abordage. Dopo essersi incontrati in una calda sera estiva parigina, i giovani Félix ed Alma passano la notte insieme. Subito l’idillio viene rotto il mattino dopo, quando la ragazza deve partire in vacanza per il sud della Francia con la sua famiglia. Insieme al suo migliore amico Chérif, Félix decide di farle una visita a sorpresa. Senza soldi, i due accettano l’offerta di un passaggio, includendo così il maldestro Edouard nella loro avventura. Ovviamente niente va secondo i piani. 

La commedia brillante utilizza situazioni surreali, spesso al limite del paradossale, per scatenare la risata del pubblico. Lo straordinario e l’inusuale sono le chiavi per far evadere lo spettatore dalla realtà quotidiana, spesso monotona e povera di spunti umoristici. La vera maestria nella comicità sta quindi nel riuscire a vedere il mondo che ci circonda con uno sguardo differente, scovando lati comici in situazioni del tutto normali, prive di qualsiasi scorciatoia farsesca. 

Ed è proprio questa la forza di Guillaume Brac, alla sua prima opera di finzione dopo diversi lavori nel mondo del documentario. Il regista francese trasferisce appunto lo sguardo documentaristico nella pellicola, creando dei personaggi profondamente umani e reali. Con dei tempi comici pacati porta la narrazione ad un ritmo profondamente raro in una commedia brillante. Si scivola infatti da una scena all’altra con delicatezza, immergendosi totalmente nella vicenda grazie a dei protagonisti in cui lo spettatore si rispecchierà facilmente grazie alla loro grande realisticità. Tutta la delicatezza del film viene racchiusa nelle ultimissime inquadrature, in cui lo sguardo carezzevole dei personaggi comunica una profonda semplicità.

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