A 100 anni dalla scomparsa di Kafka, un libro indaga lo scrittore- più attuale che mai- tra realtà e narrativa

di Amedeo Gasparini

In Kafka (La Nave di Teseo 2024), Mauro Covacich segue Franz Kafka in un duello tra realtà e narrativa. Attraverso brevi capitoli, analizza il mondo letterario dello scrittore praghese ed esplora la sua profonda affezione per la letteratura, coltivata sin dall’adolescenza.

Si parte con la novella “Il digiunatore”. Negli scritti kafkiani, l’atto del mangiare è raro. Il digiuno diventa uno spettacolo, una sfida diretta a Dio, afferma Covacich. L’abilità del digiunatore sta nella sua ribellione rispetto alle necessità corporee. Il protagonista del racconto emerge come un pioniere anticonsumista.

L’autore esplora anche la relazione tra Kafka e Max Brod, l’amico che non bruciò, come chiese Kafka, la sua opera. Brod è uno di quegli infedeli per cui si deve essere grati, scrive Covacich. I due ebbero anche una lunga relazione epistolare. Una volta Kafka scrisse a Brod: «La mia è una letteratura zingara che ha rubato dalla culla il bambino tedesco».

La lingua madre di Kafka non era il tedesco, appreso sui libri di scuola, “rubato” alla cultura dominante a Praga. A casa Kafka si parlava ceco. La stessa corrispondenza con Milena Jesenská è arricchita da espressioni e intere frasi in ceco. Alle volte, Kafka sembrava sabotare il tedesco istituzionale. Il che è abbastanza comune tra gli scrittori. Italo Svevo lo faceva con l’italiano; James Joyce e J. M. Coetzee con l’inglese, Samuel Beckett e Ágota Kristóf con il francese.

Covacich passa poi a Il castello, metafora del corpo umano. Il castello non accoglie. O meglio, precisa l’autore, accetta senza far dimenticare di essere un ospite indesiderato. Anche “La tana”, uno degli ultimi scritti da Kafka – ed eccezionalmente narrato in prima persona – ritorna sulla tematica del corpo. Kafka non è un animale aereo o acquatico, ma del sottosuolo. Scrivendo, è come se scavasse. Come una talpa.

Covacich parla anche de Il processo, che come La recherche du temps perdu di Marcel Proust “si gonfia” dall’interno. Per tutto il romanzo, il protagonista Josef K. cerca un ente superiore che possa spiegare la sua condizione. Ma il processo è una macchina che avanza inesorabilmente verso una sentenza già scritta prima ancora che il processo abbia inizio.

Si passa quindi ad America o Il disperso, il terzo romanzo incompiuto di Kafka. Che qui appare leggermente più ottimista nei confronti dei giovani intraprendenti. Forse rivedeva se stesso quando lavorò per qualche mese alle Assicurazioni Generali. Lo ricorda Covacich, che ha avuto accesso agli archivi a Trieste. Nel 1907, Franz – che aveva imparato un po’ di italiano – fu assunto e assegnato all’ufficio sull’Adriatico. Ma i mesi qui furono un periodo di frustrazione totale. Curiosamente, in quel tempo anche Joyce era a Trieste. Chissà se i due scrittori si sono incontrati …

Infine, sulla famiglia. Per Kafka scrivere non è conciliabile con una vita in famiglia. «La letteratura è lo stigma del deragliamento, della solitudine», scrive Covacich. «Scrittori non si nasce né si diventa, la letteratura è semplicemente la missione per la quale si è deciso di prendere i voti». Non c’è spazio per il resto. «Io sono fatto di letteratura, non sono nient’altro e non posso essere nient’altro che letteratura», scrisse Kafka (lettera del 13 agosto 1913).

Questo ha avuto di certo un impatto, anche nelle relazioni sentimentali. Prima su tutte, quella con Felice Bauer. «Felice non è un’interlocutrice sul piano letterario, legge i racconti di Franz con distrazione, non lo capisce», scrive Covacich. «Per Franz l’attrazione sessuale convive, in un equilibrio impossibile, con la repulsione per la carne». Uno dei tanti paradossi di questo scrittore che, come testimoniano l’attualità delle tematiche analizzate da Covacich, ha ancora molto da dire.

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