C’è vita su Ganimede?

“Il seme tra le stelle” di James Blish. La Recensione di Moreno Macchi

Moreno Macchi

«Ci fu un secondo scossone
poi l’Ascensore si immobilizzò,
adagiandosi su un fianco.
Erano arrivati all’Inferno
»

«Una parte di questi profitti
erano utilizzati per

creare nuovi servizi
destinati ad accrescere i guadagni
piuttosto che

a risolvere il problema»

Il 22 giugno del 1973 il grande David Bowie, nell’omonimo splendido brano, si chiedeva (e ci chiedeva): Is there life on Mars? e cioè: C’è vita su Marte?…

Qualche anno prima, e cioè nel 1957, James Blish (autore di cui già parlammo a proposito di Guerra al grande nulla) non si interrogava su un’eventuale vita sulla Luna, su Venere o su Saturno, anzi, nella sua raccolta di racconti di fantascienza di quell’anno ce la situava senza nessun problema e senza alcuna esitazione almeno su Ganimede, il maggiore dei satelliti naturali di Giove e il più grande dell’intero sistema solare.

Il pianeta Terra è diventato ormai ostile e sconvolto dalla follia, quindi, la sola speranza (e la sola soluzione) per l’essere umano è quella di emigrare su nuovi mondi. Contrariamente però a quanto potremmo immaginare, la colonizzazione non avviene più passando per la modifica delle condizioni di vita su nuovi astri per renderle simili a quelle della terra (la cosiddetta terraformazione) come si era fatto su Marte trasportando l’equivalente in acqua dell’Oceano indiano e una quantità di humus pari alla superficie dello stato dello Iowa, con un costo globale di pochi miliardi di dollari, o con la costruzione di gigantesche cupole trasparenti come lo si era fatto sulla Luna, ma tramite la mutazione genetica dell’essere umano stesso, che viene reso capace di vivere in altre atmosfere, di sopportare altri tipi di temperatura, di gravità, di clima e di condizioni ambientali: la pantropia.

Sweeney è un Uomo Adattato, ha appena lascito l’inospitale Luna sulla quale è nato e dove ha finora vissuto, e viene paracadutato con una precisa missione sul pianeta Ganimede da un’astronave che gli orbiterà attorno per 300 giorni.

Lì viene accolto dal professor Rullmann e da Mickie, che presto scoprirà essere una sua nipote, con la quale intraprende subito una specie di visita guidata del pianeta e della vertiginosa struttura rocciosa dove si è insediata la colonia umana che si è stabilita su Ganimede.

Improvvisamente, non riuscendo a capire dove sia sparita Mickie che seguiva diligentemente (avrà svoltato a destra o a sinistra?), Sweeney si addentra da solo in certi lunghissimi tunnel scavati nella roccia e artificialmente ventilati da potenti macchinari (Ganimede è assolutamente privo di vapore acqueo e ha quindi un’atmosfera del tutto particolare) che portano a misteriosi laboratori sotterranei, uffici dell’intendenza spaziale e altri misteriosi luoghi di impossibile accesso perché chiusi da solide e impenetrabili porte di sicurezza protette da codici cifrati.

In uno di questi laboratori c’è una percepibile tensione nell’aria, perché il professor Rullmann sta annunciando ai suoi collaboratori il prossimo e radicale (ma ormai noto) cambiamento di situazione sul pianeta, che avviene regolarmente ogni undici anni e nove mesi, e cioè quando il placido Giove, con la sua processione di lune e corpi celesti, si avvicina al fiammeggiante Sole; fenomeno che potrebbe (e non dovrà assolutamente farlo!) compromettere il « grande progetto » di cui per il momento nessuno, tranne gli ovvi iniziati, deve essere a conoscenza.

E nemmeno il lettore, naturalmente.

Quello che possiamo intuire è che da questo «progetto» dipendono assai probabilmente le sorti di chi vive su Ganimede e dell’umanità tutta …

E questo è solo il primo racconto del volume che ne riunisce in tutto quattro, di ineguale lunghezza, accomunati da un’unica tematica, ma con trame e personaggi assai diversi. La tesi qui esplorata da Blish è quella della possibilità di «inseminare» nuovi mondi con Uomini Adattati e conseguentemente della capacità di questi di sopravvivere in modo adeguato su pianeti alieni, in condizioni anche estreme e assai diverse da quelle dei loro mondi di provenienza, con le quali dovranno magari addirittura lottare e alle quali riusciranno forse ad adattarsi.

Perché riscoprire oggi James Blish (1921-1975)? Perché i suoi romanzi non sono solo «semplici racconti di fantascienza» come si potrebbe essere tentati di pensare semplicisticamente, ma perché pongono sempre interrogativi e sollevano tematiche di tipo etico, morale, metafisico, filosofico e perfino teologico. Sono quindi testi che, oltre a trasportare il lettore in altri mondi, in epiche avventure nell’universo e a sedurlo con storie sempre avvincenti e coinvolgenti – malgrado la loro oggettiva età – possono lasciarlo a volte perplesso, a volte dubbioso, ma mai indifferente.

James Blish,
Il seme tra le stelle (romanzo),
Mondadori

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami