«L’endometriosi non deve essere un tabù. Va fatta un’adeguata prevenzione»

Dottor Christian Polli

Intervista al dottor Christian Polli, Vice Primario di Ginecologia e Ostetricia presso l’Ospedale Regionale di Lugano, Ente Ospedaliero Cantonale

di Cristina Penco

Una malattia diffusa e complessa, ma ancora poco nota. Stiamo parlando dell’endometriosi, una patologia che, secondo i dati dell’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC), colpisce circa il 10-15% delle donne fertili e riguarda il 30-40% delle donne con infertilità.

Il Centro di Endometriosi EOC, creato nel 2014 all’interno dell’Ospedale Regionale di Lugano, è un servizio pubblico specializzato nella diagnosi e nella presa in carico delle pazienti affette da questa patologia. Consente una valutazione completa e offre una terapia mirata e personalizzata, studiata su misura rispetto alle caratteristiche e alle esigenze di ogni caso.

Dal 2014 il Centro si avvale della certificazione europea SEF (Stiftung Endometriose-Forschung), attestazione di qualità rinnovata nel 2021. Il ‘Corriere dell’italianità’ ha intervistato il dottor Christian Polli, Vice Primario di Ginecologia e Ostetricia presso l’Ospedale Regionale di Lugano, Ente Ospedaliero Cantonale.

In che cosa consiste esattamente l’endometriosi?

«Stiamo parlando di una condizione in cui l’endometrio – il tessuto che normalmente riveste l’interno dell’utero e che si elimina durante il ciclo mestruale – si impianta in modo anomalo al di fuori dell’utero, sua sede naturale. Nel corso delle mestruazioni, il sangue mestruale refluisce in parte attraverso le tube, cadendo all’interno della cavità addominale. In alcuni soggetti predisposti le cellule di endometrio possono attecchire su varie strutture, come le ovaie, le tube di Falloppio ed il peritoneo, la membrana che riveste la cavità addominale. O, ancora, può migrare in organi vicini all’apparato genitale, diffondendosi su intestinoe vescica. Inizialmente si tratta di piccole lesioni sporadiche e millimetriche. Tuttavia, una volta che il tessuto endometriale si è impiantato al di fuori dell’utero, risponde agli stimoli ormonali. Gli estrogeni, ossia gli ormoni che la donna produce in età fertile, ne permettono la sopravvivenza e ne favoriscono la proliferazione».

Quali fattori causano questa malattia?

«Esiste una predisposizione familiare, ma non è un elemento preponderante. Si pensa che intervengano anche caratteristiche genetiche, immunitarie o immunologiche. In alcune donne, senza che ci sia una patologia identificata, il meccanismo che avviene durante le mestruazioni – la presenza di sangue all’interno della pancia nel ciclo – non funziona correttamente. Possono incidere pure i fattori ambientali, per esempio il luogo in cui la paziente vive, l’aria, l’acqua, l’alimentazione a cui è esposta. Sapere chi ha o non ha l’endometriosi è più complesso di quanto si possa pensare. La malattia in sé, inoltre, si presenta in modo differente da caso a caso. Ci sono donne che possono avere una sintomatologia dolente molto importante fin da giovani. Altre possono avere sintomi accettabili, magari sono diventate madri e vengono a sapere in seguito di avere l’endometriosi. Altre ancora lo scoprono a fronte dei problemi di infertilità».


La diagnosi, dunque, non è semplice né tantomeno immediata. A quali avvisaglie occorre prestare attenzione?

«È importante che si attui un’adeguata prevenzione, che passa innanzitutto dall’informazione e dalla comunicazione. Il primo campanello d’allarme sono i dolori che si avvertono qualche giorno prima del ciclo e durante le mestruazioni. Ovviamente questo è un sintomo che è di difficile interpretazione e misurazione. In base alle linee guida internazionali, tuttavia, il dolore è considerato patologico quando implica l’interruzione delle attività sociali, familiari, educative quotidiane o necessita in modo costante e continuo di una terapia antidolorifica farmacologica. Oltre al benessere generale di un soggetto, ne risentono la psiche, l’emotività, la vita relazionale e di coppia. Quando la situazione diventa cronica, dunque, è opportuno che venga investigata adeguatamente. Se si avvertono dolori anomali, è importante non sottovalutare la propria condizione e discuterne. Parlatene senza indugi e senza senso di frustrazione e vergogna, confrontandovi con i vostri familiari, con l’amica o la conoscente che magari ha già ricevuto una diagnosi certa di endometriosi e col vostro ginecologo». 


In seguito a un’operazione o manifestazione avanzata della patologia, si potrebbe presagire un importante ostacolo nella possibilità di concepimento della paziente. Come vi comportate in quei casi?

«Il nostro team offre una consultazione specialistica nella presa in carico della procreazione medicalmente assistita grazie alla stretta collaborazione con il Centro Cantonale di Fertilità. Di recente, presso l’Ospedale Civico di Lugano, ho tenuto una serata aperta ai cittadini e ai medici insieme al dottor Alessandro Santi. Abbiamo illustrato alcune novità nella diagnosi, nella presa in carico e nel trattamento sia dell’endometriosi sia dell’infertilità».

Quali sono i principali risvolti degli studi? Quali novità nella diagnostica e nei trattamenti?

«Nella diagnostica sono stati introdotti nuovi strumenti, come, per esempio, un test salivale – quindi per nulla invasivo – che permette di identificare, tramite uno studio approfondito e molto sensibile, le donne che presentano un mappaggio genetico – ottenuto con la combinazione di specifici marcatori – compatibile con numerose altre che presentavano un’endometriosi già conclamata e trattata. È un elemento supplementare che permette di avere una conferma di endometriosi, senza la necessità di dover operare la paziente. Consiste in un esame molto costoso (circa 800-900 franchi) che deve essere fatto da specialisti altamente qualificati. E non è da considerarsi un test di screening. Per quel che riguarda i trattamenti terapeutici, invece, attualmente sono disponibili tre diverse opzioni: la cura ormonale, gli antidolorifici e, nei casi più avanzati, la chirurgia, che avviene tramite laparoscopia, tecnica minimamente invasiva. All’orizzonte, però, c’è una nuova prospettiva in fase di approfondimento, legata a una molecola particolare. Quest’ultima consentirebbe di avere una classe farmacologica supplementare accanto alla pillola contraccettiva, ad oggi il primo trattamento di una malattia ormonalmente sensibile».

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