Come uno squarcio di “Dolce vita”

L’ultima estate in città. La Recensione di Moreno Macchi.
“Il testo è un vero fuoco d’artificio di splendide trovate linguistiche, il tono generale non ha preso una ruga e quindi il romanzo è rimasto freschissimo, come fosse stato scritto ieri”

Moreno Macchi

«Un amore morto
è già triste di per sé
e non ci si può mettere
anche la pioggia
»

«“Perché non prova a pregare?”
disse il frate.
“Io non prego”
dissi
“al massimo chiedo per favore”
»

Gianfranco Calligarich
L’ultima estate in città (romanzo)
Bompiani

Apparso per la prima volta nel 1973 per Garzanti, poco tempo dopo sparisce. Viene riesumato dalle edizioni Aragno nel 2020, perché era stato oggetto di studi e di tesi di laurea. Poi scompare di nuovo. È subito ricercatissimo su internet, su cui si reperiscono alcune copie fino a una nuova sparizione. Così nel 2021, Bompiani decide di ristamparlo. Con un successo planetario visto che è tradotto in diciassette lingue.

In una Roma sonnecchiante, seducente, ipnotica, indifferente, gironzolano, si incrociano, parlano, confabulano, bevono (molto), fumano (molto), mangiano (quando capita), allampanati personaggi che orbitano come pianeti alla deriva attorno a Leo (il narratore protagonista) e che si chiamano Eva, Viola, Arianna, Livio, Paolo, Glauco, Graziano.

Sono tutti tra i venti e i trent’anni, chi figlio/a di buona famiglia, chi perditempo, chi addirittura aristocratico, chi proprietaria di boutique di e alla moda, chi artista a tempo perso, chi povero in canna (Leo) e costretto a leggere solo libri d’occasione, a nutrirsi di arachidi da aperitivo o di tramezzini trafugati durante eclettici vernissages, o ancora a farsi invitare per un drink o una spaghettata in trattoria dagli amici di una vita o di una sera.

Scene di vita quotidiana quindi, quelle che magari abbiamo conosciuto anche noi alla stessa spensierata età (forse un po’ diverse, ma poco), al punto che tutto il romanzo (anche se le stagioni cambiano a volte quasi all’improvviso, a volte in punta di piedi), sembra svolgersi in una giornata sola, incredibilmente elastica, o forse due o tre, tanto il tempo sembra dilatarsi, le ore immobilizzarsi, gli orologi fermarsi (pensate che Arianna possiede perfino un vecchio orologio di famiglia che non è puntuale ma che lei « non aveva mai fatto regolare perché così guardarlo era sempre una sorpresa »), i gesti sospendersi, sempre uguali, ripetitivi, sempre apparentemente inutili, senza scopo preciso: inviti che cadono nel nulla, folli progetti che svaniscono nella mezz’ora successiva, amicizie che si stringono e si perdono nella notte, festicciole improvvisate da cui si parte senza preavviso e senza salutare, passaggi in una discoteca con cubi luminosi e musica assordante (il mitico Piper?) in cui ognuno sembra ballare con se stesso in una specie di bolla impenetrabile.

Ma comunque, Creta è «solo sassi», quindi è sconsigliata una vacanza lì anche se stai leggendo l’Iliade o l’Odissea. E il mare? «È tutto intorno», mentre Roma è percorsa da fiumi di gente sulle cui rive ci si può aggrappare, le serate eleganti sono frequentate da modelle d’alta moda una delle quali è perfino «molto alta, molto più alta lei di quanto fosse la moda quell’anno».

Ma in realtà cosa succede in quei giorni a Roma? Essenzialmente … niente. O molto, molto poco. Si vive. Ci si annoia. Ci si sente disperatamente soli. Anche in compagnia. Si parla, ci si incrocia, si lancia una battuta (pungente che è sempre meglio), ci si scambia un saluto, si abbozzano discussioni, si sale nell’Alfa, si scende dall’Alfa, ci si guarda senza vedersi veramente, si ama, si parla, si sorride dietro gli occhiali rigorosamente scuri.

Il clima ricorda alto alto quello della felliniana Dolce vita, con quegli sprazzi di esistenza, quegli scampoli di storia meravigliosa, quella grande avventura che poi non ci sarà, quelle belle ubriacature (Graziano è esperto nel bere con due mani: nella destra la birra, nella sinistra il whisky o viceversa quando la cosa si fa monotona), ubriacature, dicevamo, che ti fanno magari sognare il bagno nella Fontana di Trevi con Anita Ekberg o i giri in Vespa in compagnia di Audrey Hepburn per le strade semivuote di Vacanze romane.

Ma una stralunata storia d’amore (quale romanzo, quale film può farne a meno?) c’è, e percorre tutto il romanzo. È quella, assai tumultuosa, complicata, agitatissima tra Leo e Arianna, ricca di battute spiritose, battibecchi, arrabbiature, piccole crisi e grandi litigi, abbandoni e ritrovamenti, scaramucce e ricattini, gite romantiche, folli e sconsiderati acquisti, letture intellettuali, bagni di sole, improvvisate nuotate marine e perfino occupazioni abusive di lussuose ville munite di regolamentari piscine e momentaneamente disabitate.

Il testo è un vero fuoco d’artificio di splendide trovate linguistiche, di acrobatiche metafore e altri bei volteggi retorici nei quali gli accostamenti di parole suscitano a volte il sorriso a volte lo stupore. Il tono generale non ha preso una ruga e quindi il romanzo è rimasto freschissimo, come fosse stato scritto ieri. Non mancherà quindi di sedurre gli amanti del bel libro confezionato ad arte.

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