Il cibo è Storia

di Gilda Ciaruffoli

in foto: ANDO GILARDI Giovani donne portano zucche sulla testa. “Le zucche, d’estate sono mangime, d’inverno cibo”. Quando il gallo canta a Qualiano, ampia fotoinchiesta di Gilardi sulla sindacalizzazione dei braccianti agricoli, in questo paese particolarmente sentita. Qualiano (Napoli), ottobre 1954.
© Fototeca Gilardi

Sono circa 600 le opere d’arte e altrettanti gli oggetti e i materiali esposti alla Biennale Foto/ Industria 2021 di Bologna (14 ottobre-28 novembre), la prima Biennale al mondo dedicata alla fotografia dell’Industria e del Lavoro. 11 mostre ospitate in 10 sedi storiche del centro cittadino e una al MAST, che vedono tre ingredienti – cibo, arte e storia alla base della quinta edizione di questa manifestazione di respiro internazionale, intitolata per l’appunto Food. Al centro dell’evento organizzato da Fondazione MAST c’è l’industria alimentare: “Il cibo è un fondamentale indicatore per analizzare e comprendere intere civiltà. Le modalità attraverso cui gli alimenti vengono prodotti, distribuiti, venduti, acquistati e consumati sono in costante cambiamento e racchiudono pertanto alcuni caratteri distintivi di un’epoca, un periodo storico o un ambito culturale e sociale”, scrive nel testo introduttivo del catalogo della Biennale il direttore artistico Francesco Zanot.

Non si tratta di una mostra gastronomica, sulla cucina o sulla fotografia del cibo, ma di “11 esperienze” che toccano tutti gli aspetti dell’alimentazione. “E’ un tema complesso, viste tutte le “ricadute” del cibo nella nostra vita. Penso alla biologia: il nostro corpo si modifica sulla base di ciò che ingeriamo. Penso al rapporto tra cibo e filosofia; tra cibo e storia e al suo rapporto con le tradizioni; al rapporto con la geografia visto che spesso le tradizioni sono locali; al rapporto con l’economia, ma anche con la politica, la tecnologia, ma anche la demografia e l’ecologia”, ci spiega Zanot.

Tra i principali argomenti trattati nelle 11 mostre in programma che ripercorrono un secolo di storia dagli anni Venti a oggi, figurano: l’industria alimentare e il suo impatto sul territorio; il rapporto tra cibo e geografia; la meccanizzazione della coltivazione e dell’allevamento; la questione del grano; l’evoluzione del cibo nel corso del tempo; l’alimentazione organica e naturale; la cucina; le tradizioni locali; i mercati; la pesca nei mari e nei fiumi.

Tre gli artisti italiani. Protagonista della mostra “Fototeca” al MAST è Ando Gilardi, artista eclettico e originale, con una combinazione di reportage fotografici e materiali estratti dal suo archivio iconografico fondato nel 1959: “impegnato politicamente, il suo soggetto principale sono i lavoratori, in particolare quelli agricoli e nell’industria”, dice Zanot. Immortalando queste persone che lavoravano in condizioni difficili – ci sono giovani operaie che trasportano casse sulla testa, giovanissime raccoglitrici di olive, per esempio – voleva dare un contributo perché le cose per loro potessero migliorare.

Poi ci sono Maurizio Montagna con “Fisheye”, lavoro dedicato al fiume Sesia e alla sua valle (Collezione di Zoologia del Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Bologna) e Lorenzo Vitturi (“Money Must Be Made”, su Balogun, il mercato più grande di Lagos in Nigeria, Palazzo Pepoli Campogrande).

Otto gli artisti stranieri. Considerato tra i padri della fotografia oggettiva degli anni 30, lo svizzero Hans Finsler (“Schokoladenfabrik”, serie realizzata nel 1928 su commissione dell’azienda dolciaria Most, San Giorgio in Poggiale) “figura centrale nella fotografia industriale”, come lo definisce Zanot, a un certo punto si concentra su una fabbrica di cioccolato e realizza una serie di immagini su un soggetto apparentemente banale ed effimero, ovvero dei cioccolatini, e li rende dei pezzi unici. Ancora, ci sono le opere del fotografo tedesco, membro della Magnum Photos, Herbert List (“Favignana”, 40 immagini sulla mattanza dei tonni nell’isola nel 1951, Palazzo Fava); del francese Bernard Plossu (“Factory of Original Desires”, spezzoni di vita in tutto il mondo e ritratti legati a persone e cibo nella quotidianità, Palazzo Fava) che si presenta così: “sono un uomo nervoso che fa fotografie tranquille”; di Mishka Henner (“In the Belly of the Beast”, una selezione di tre progetti sul rapporto tra uomo, animali e tecnologia realizzati utilizzando materiali preesistenti, Spazio Carbonesi); del giapponese Takashi Homma (“M + Trails”, immagini delle facciate dei negozi di McDonald’s in paesi lontani accostate a una sequenza sulle tracce di sangue lasciate dai cacciatori di cervi in Giappone, Padiglione Esprit Nouveau); dell’olandese Henk Wildschut (“Food”, immagini delle nuove tecnologie per una produzione sempre più intensiva dell’industria alimentare, Fondazione Del Monte  di Bologna e Ravenna, Palazzo Paltroni).

Hans Finsler, Untitled, 1928
Courtesy Fondazione Rolla, Bruzella

Poi ci sono l’artista americana Jan Groover nota per le sue nature morte (“Laboratory of forms“, MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna, una retrospettiva di tutta la  sua carriera a partire dalle celebrinature morte riprese nella cucina della sua abitazione) e la ricercatrice e attivista palestinese Vivien Sansour (“Palestine Heirloom Seed Library”, un progetto per salvaguardare antiche varietà di semi e proteggere la biodiversità, Palazzo Boncompagni).

Le mostre sono accompagnate da un ricco programma di eventi a ingresso libero: visite guidate con gli artisti, talk, workshop di fotografia, performance, proiezioni, tavole rotonde e attività didattiche per i più piccoli.

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