Il mito del posto fisso? I giovani italiani scelgono l’autonomia

di Maria Moreni

Siamo nel pieno del clima natalizio. È tempo di regali e di esprimere desideri che, durante questo periodo post-pandemia (da cui non siamo ancora usciti), potrebbero essere molto diversi da quelli ambiti qualche anno fa. Il mondo cambia e con esso anche le aspirazioni.  Prendiamo come esempio il mondo del lavoro: altro che posto fisso! I giovani italiani d’oggi preferiscono la libera professione o l’impresa privata. Lo svela la ricerca “Dopo il diploma”, condotta da Skuola.net in collaborazione con ELIS, realtà no profit dedicata alla formazione professionale.  Molti studenti in uscita dal sistema scolastico hanno programmi ambiziosi per il futuro: su 600 neodiplomati intervistati, 1 su 6 vorrebbe diventare imprenditore, provando a costruire un’attività tutta sua. A questa quota va aggiunto un altro quarto (23%) che vorrebbe svolgere un lavoro autonomo.
Insomma, il mito del posto fisso è meno attraente di quanto non lo fosse per le generazioni precedenti: solo il 25% degli intervistati punta sulla sicurezza del lavoro dipendente, mentre il restante 35% non ha ancora deciso in via definitiva.

Per quanto riguarda la relazione tra genere di appartenenza e accesso all’imprenditoria, tra i maschi oltre 1 su 5 è tentato dal mettersi in proprio. Sul fronte femminile, vale lo stesso per una percentuale inferiore, circa il 15%. Sono ancora molte le ragazze che si sentono “frenate” dalle difficoltà che ancora oggi l’iniziativa professionale “rosa” registra nella Penisola, soprattutto – ancora – nel sentire comune, oltre che nella pratica. Per quasi la metà di coloro che ambiscono a diventare “capitani d’azienda” (46%) si tratta ancora di una intenzione non ancora supportata da una visione concreta. Ma più di 1 su 2 ha già individuato un’idea, a proprio dire vincente, su cui lavorare: il 42% la vorrebbe sviluppare in modo indipendente – una percentuale che tra i maschi sale al 47% – mentre il 12% l’ha pensata come un progetto da portare avanti con un gioco di squadra.

Va sottolineato, inoltre, che la mentalità da startupper si sta sviluppando già in età scolare, tanto che, in qualche caso, la squadra si è formata da tempo e sta già programmando le prossime tappe. La Generazione Z, nel complesso, è consapevole che non si diventa imprenditori in un batter di ciglia. Specialmente l’iniziativa privata ha bisogno dei suoi tempi per essere “matura”. Una sorta di percorso a tappe che, gli stessi studenti, vorrebbero iniziare il prima possibile. Così, circa 1 su 6 – guarda caso la stessa proporzione di quanti aspirano a puntare su loro stessi – vorrebbero già oggi essere orientati o avere suggerimenti sul mercato del lavoro da chi li ha preceduti, manager di realtà pubbliche e private consolidate. E, parallelamente, credono che una formazione ad hoc possa fare la differenza: tra chi ha proseguito gli studi all’università dopo la Maturità, 1 su 5 cambierebbe idea se ci fosse un corso professionalizzante o un percorso di affiancamento che gli permetta di cominciare il prima possibile.

Rispetto a qualche decennio fa, la Penisola mediterranea è più strutturata: sono sempre più diffusi sul territorio acceleratori e incubatori che, col supporto di investitori pubblici o privati, accolgono le idee appena accennate e ne guidano la trasformazione verso imprese vere e proprie. Nell’ambito di progetti di Open Innovation, le baby aziende possono essere messe in condizione di camminare sulle proprie gambe o essere inglobate in grandi gruppi alla ricerca di innovazione.

I settori su cui puntano maggiormente i neodiplomati? In testa si posiziona l’e-commerce e, più in generale, la “vendita” di beni e servizi tramite siti web o social network (23%). A seguire si trova l’influencer marketing e la creazione di contenuti sulle piattaforme digitali (21%). Terze le operazioni fintech come il trading online o la compravendita di criptovalute (19%). Meno presidiati, invece, i campi dello sviluppo e gestione di App o servizi online, dei social media (sia lato contenuti che marketing), dell’informazione online (web editor, blogger, ecc.): sono tutti e tre appaiati al 10%. A chiudere la classifica, gli e-sports e il gaming professionale, da cui ha ricavato una fonte di reddito il 7% di coloro che si sono cimentati con i mestieri innovativi già alle scuole superiori.

A fare da traino a questo nuovo filone sono soprattutto i giovani del Centro-Sud (sono il 21%, cinque punti percentuali più della media complessiva). Nel Mezzogiorno, tuttavia, sono in pochi quelli che intravedono in esso delle prospettive concrete (il 25%, a fronte di una media nazionale del 37%), a riprova della tendenziale sfiducia che permane in alcune aree d’Italia.

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