«Il tumore al polmone è un big killer. Noi curiamo le persone, non solo le malattie e per questo i nostri medici parlano italiano»

Intervista al Prof.  Dr. Med. Stefano Cafarotti e al Dott. Med. Antonio Valenti del Centro Polmone della Svizzera Italiana – Ente Ospedaliero Cantonale

Nell’ultimo decennio, in Ticino, si è assistito a un incremento significativo delle diagnosi di tumore al polmone, unitariamente a quelle di tumore al seno, prostata, colon-retto e cervello.

I Centri Oncologici Specialistici dell’Ente Ospedaliero Cantonale, che nascono in risposta a questo aumento d’incidenza, applicano le più avanzate tecnologie a prevenzione, diagnosi e cura, dando modo a chi si ammala, oggi, di poter avere una probabilità di guarigione nettamente superiore rispetto al passato. Di recente, in particolare, il Centro Polmone della Svizzera Italiana (CPoSI) ha raggiunto un traguardo importante sia per i suoi medici e operatori, sia per i pazienti, confermandosi tra i migliori centri internazionali nella diagnosi e nella cura multidisciplinare del tumore del polmone.

dottor Antonio Valenti
Professor Stefano Cafarotti

Ne abbiamo parlato con il professor Stefano Cafarotti, responsabile del Centro oncologico polmonare della Svizzera Italiana, primario Chirurgia toracica dell’Ente ospedaliero cantonale, responsabile dei Centri oncologici specialistici EOC e professore alla Facoltà di scienze biomediche, e con il dottor Antonio Valenti, Caposervizio Pneumologia Ospedale Regionale di Lugano – Civico e Italiano, Coordinatore MDM del CPoSI.


Il Centro Polmone della Svizzera Italiana, soddisfacendo i rigorosi criteri della Deutsche Krebsgesellschaft (DKG, standard qualitativo di riferimento europeo), ha ottenuto la certificazione European Lung Cancer Center, già in possesso degli ospedali universitari di Zurigo e Berna. Quali implicazioni di rilievo comporta l’attestato?

Prof. Cafarotti: «È noto che in Canton Ticino ci sono 350mila abitanti, tutte persone che potenzialmente sono esposte al rischio di tumore al polmone, ancora adesso primo “big killer” sul territorio. In tutta la Svizzera si contano altri 400mila italofoni che, pur riuscendo, esprimendosi in una seconda lingua nazionale, a vivere bene l’ambito professionale e sociale, potrebbero avere bisogno di un supporto linguistico competente che li supporti nella comprensione di un loro percorso strutturato e a volte complesso. Si tratta di un’opportunità che noi vogliamo dare non come competitor degli altri centri elvetici certificati – non ne abbiamo né l’ambizione, né la pretesa – bensì come alleati al fianco del paziente».

Sono aspetti che appaiono fondamentali nell’ottica di un approccio moderno che supera una certa visione paternalistica del rapporto medico-paziente e che mette davvero al centro i pazienti. A essere curate sono le persone, non solo le malattie.

Prof. Cafarotti: «Al Centro Polmone della Svizzera Italiana, come negli altri Centri Oncologici Specialistici dell’Ente Ospedaliero Cantonale, proviamo a fare un passo ulteriore rispetto a ciò. La nostra prospettiva è quella secondo cui il paziente siede al tavolo delle decisioni con gli specialisti. È su questo punto che la medicina oncologica è al suo terzo passo della sua evoluzione, in direzione, cioè, della cosiddetta medicina narrativa, di cui noi cerchiamo di essere interpreti. Abbiamo bisogno di ascoltare il paziente e comprendere la sua storia, accogliere le sue aspettative rispetto a un trattamento oncologico e assecondare la sua volontà secondo scienza e coscienza. Abbiamo il dovere di considerare quindi la volontà del paziente alla stregua del risultato di un esame medico. In un momento di terapie sempre più complesse e personalizzate, per fare scelte libere e consapevoli, il paziente necessita di spiegazioni comprensibili. Se allarghiamo questa visione al concetto di italianità, come può un nostro concittadino o un paziente italofono che vive nella Svizzera Interna sedersi accanto ai medici e discuterne alla pari. È qualcosa che può avvenire senz’altro più facilmente tra persone che parlano la stessa lingua».

Uno dei requisiti obbligatori per ottenere le certificazioni qualitative sono le riunioni multidisciplinari (MDM). In che cosa consistono?  

Dott. Valenti: «Il paziente va incontro ad un percorso diagnostico che serve a caratterizzare il tumore e a definirne lo stadio che risulta fondamentale per la scelta del trattamento. Dopo le varie indagini, il caso di un paziente va presentato in modo completo al gruppo di specialisti, ciascuno con le sue competenze, al fine di stabilire una decisione terapeutica adeguata al paziente, nel rispetto degli standard internazionali e nei tempi stabiliti dalle certificazioni. Ogni settimana discutiamo di svariati casi e, se necessario, ci confrontiamo più volte sulla stessa situazione quando risulta complessa. Occorre un’azione ben concertata tra i vari specialisti, simili a tanti chef che servono, tutti insieme, per realizzare una buona ricetta. Il coordinamento e la discussione multidisciplinare sono il momento fondamentale dell’inizio del trattamento di ogni paziente. Se già non è semplice comunicare una diagnosi di tumore, tantomeno lo è spiegare tutto quello che ruota attorno a un percorso terapeutico. Pure per questo è decisivo il fatto di non avere barriere linguistiche».

Lo screening aumenta le probabilità di guarigione del singolo e consente cure più rapide e meno onerose per la collettività. C’è in programma qualche iniziativa sistematica e periodica sul polmone?

Dott. Valenti: «Tra i nostri futuri obiettivi rientra un’indagine che sarà il secondo studio pilota nel settore a livello svizzero. Fermo restando che la prevenzione continua ad avere un’importanza chiave, i pro dello screening sono evidenti: si trova una malattia in fase precoce, la si tratta in modo adeguato, migliorando la sopravvivenza nei pazienti. Nel caso del tumore al polmone, è stato dimostrato che programmi di controllo preventivo permettono di ridurre la mortalità del 25% negli uomini e nel 35% nelle donne. Ma ci sono anche dei contro da ponderare attentamente: un paziente che inizia un percorso simile dovrà sottoporsi a esami ripetuti nel tempo sarà esposto a radiazioni, affronterà stress e preoccupazioni. Anche in base alle implicazioni conseguenti, occorrerebbe preliminarmente selezionare fasce ad hoc della popolazione in termini di età e di esposizione ai fattori di rischio, evitando di arrivare a un’overdiagnosis (diagnosticando in soggetti asintomatici una malattia che non sarà mai sintomatica) o a un overtreatment (sottoponendo a trattamenti eccessivi quando non sono necessari). Lo screening, inoltre, comporta dei costi e va capito quale ente debba sostenerli. E ancora, pensando ai pazienti fumatori, a un programma di screening dovrebbe essere associato in parallelo un programma di disassuefazione dal fumo da parte della Tabaccologia, affinché sia eliminato il principale fattore di rischio. Il paziente fumatore non va stigmatizzato, ma aiutato a risolvere la propria dipendenza. Una grande novità del nostro studio è sicuramente il coinvolgimento del medico curante, una figura che dialoga con il paziente, conosce la sua storia, le sue abitudini, sa se il soggetto risponde ai requisiti richiesti dallo screening e, se ritiene, glielo può suggerire. Sono valori aggiunti rilevanti affinché si possa ottenere un’adesione maggiore alla campagna e un reclutamento efficace».

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