“L’apprendistato”: girato a Domodossola, lanciato al Festival di Locarno e consacrato al MoMA di New York

di Daniela Faggion

Il regista Davide Maldi restituisce in maniera profonda e priva di retorica l’esperienza di Luca, ragazzino cresciuto sui monti che decide di iscriversi all’istituto alberghiero Mellerio Rosmini di Domodossola. Nel collegio impara subito la necessità del rigore, perché chi decide di mettersi al servizio degli altri deve essere impeccabile. Anche a 14 anni. Il regista romano, a Milano ormai da qualche anno, racconta al Corriere degli italiani il suo lavoro nella scuola e sottolinea l’orgoglio per il suo film che è stato lanciato dal Locarno Film Festival.

Se Peter avesse dovuto lasciare Heidi e la nonna per andare a imparare un mestiere in un collegio si sarebbe probabilmente sentito come Luca Tufano, protagonista de “L’apprendistato”. Il film di Davide Maldi è stato presentato l’estate scorsa al Festival del Film di Locarno e il 7 marzo comincia il suo tour nelle sale italiane, forte anche del prestigioso passaggio al MoMA di New York.

“Dopo Frastuono del 2014, questo è il secondo capitolo di una trilogia che immagino come la storia della formazione di un giovane anarchico”, spiega al Corriere il regista incontrandoci di persona. “Il mio non è un approccio antropologico, ma certamente mi interessano i rituali di iniziazione che segnano l’adolescenza, in questo caso la necessità di imparare un lavoro da subito”.

In effetti l’istituto alberghiero di Domodossola ci appare come una bolla temporale lontana dal vivere frenetico, un non-luogo in cui si preparano le braccia e i sorrisi che accoglieranno le persone in altri non-luoghi che sono gli alberghi, i ristoranti e le navi da crociera. Ad eccezione della cucina asettica e moderna, l’atmosfera e gli spazi in cui si muovono Luca e i suoi compagni di classe e di scuola sembrano sospesi nel tempo, quasi ignari di odiatori social, leoni da tastiera e battibecchi da talk show televisivi: qui si impara a muoversi educatamente un passo indietro e a lanciare uno sguardo avanti, perché i clienti siano felici e soddisfatti.

Perché ha scelto proprio questa scuola?

Dopo averne visitate alcune in regioni diverse, ho scelto il Mellerio Rosmini perché mi piaceva il forte contrasto fra la realtà esterna e un contesto così “passatista”, non riconducibile a nulla. È una scuola molto importante per il territorio, perché consente ai giovani della zona di andarsene – molto preparati – a cercare un lavoro in Svizzera, a Milano o in giro per il mondo. Ho trascorso sei mesi nella scuola tra la fine del 2017 e il 2018, poi ho deciso di seguire i cinque ragazzi che avrebbero cominciato il loro percorso a settembre di quell’anno. Inizialmente avevo pensato di far viaggiare in parallelo le storie di Luca e Mario ma, mentre quest’ultimo è apparso da subito molto determinato e disposto a seguire le regole, per Luca era evidentemente più difficile e quindi per me più interessante… oltre al fatto che ho subito empatizzato con lui, perché è rosso di capelli come me! Cercavo un protagonista che avesse un animo selvaggio e che facesse fatica ad accettare le regole della società e della scuola. Luca è un tipo solitario, cresciuto fra boschi e malghe a mungere il bestiame dei suoi genitori, è appassionato di caccia come lo sono alcune persone cresciute in mezzo alla natura e mantiene nel suo sguardo un non so che di selvaggio, che abbiamo cercato di rendere anche nella locandina sfumando l’immagine della sua testa con quella di un cinghiale.

Il cinghiale non è l’unico animale a comparire. Nelle vetrine della scuola sono conservati molti animali imbalsamati, che Luca va a visitare di notte. Che significato hanno?

In Frastuono c’era lo specchiamento dei protagonisti con gli animali rinchiusi nelle gabbie dello zoo della loro città, fra cui una tigre afona. Qui c’è lo specchiamento di Luca chiuso nella scuola con questi animali selvatici che rappresentano l’istinto ma sono imbalsamati e messi in vetrina, oramai oggetti da museo senza libertà.

Per questo ragazzo appare molto difficile restare fermo e in un luogo chiuso. Dice che la gente non gli piace e che si annoia, quasi verrebbe da chiedergli perché abbia deciso di seguire quel percorso scolastico… quand’ecco che, silenzio dopo silenzio, alla fine sembra disposto a conformarsi. 

In realtà il finale è aperto, di certo comunque Luca è ancora a scuola. È vero però che, tornando al giovane anarchico della trilogia, per andare contro le regole bisogna aver capito molto bene come funzionano, e in questo caso lo scarto che lui vive è capire di dover accettare qualcosa.

Com’è stato lavorare con degli adolescenti a scuola?

Questo è un contesto speciale anche dal punto di vista numerico, visto che la classe in cui mi muovevo ha solo cinque allievi. Io ho cercato il più possibile di “sparire”, realizzando le riprese da solo, muovendomi con la camera nel modo meno invasivo possibile e senza mai far capire ai ragazzi quale fosse la storia che avevo in mente: Luca, ad esempio, ha scoperto solo qualche settimana prima del festival di Locarno di essere il protagonista. Inoltre, non c’erano dialoghi scritti, anche per evitare la retorica che hanno le battute scritte per i ragazzini da sceneggiatori adulti.

In effetti è un film con pochi dialoghi ma sapienti contrasti fra silenzi e sonorità evocative. Che significato ha questa scelta?

L’adolescenza è fatta di silenzi. Le parole in questo film sono dette soprattutto dal Maître e dagli altri insegnanti che dettano le regole del lavoro e della scuola. Mostrare attraverso il suono la fatica di Luca era importante, per questo insieme a Freddie Murphy e Chiara Lee abbiamo costruito una colonna sonora che ragionasse sul rito di iniziazione grazie a ritmi tribali e avesse un respiro pieno di affanno come suono portante. L’affanno tipico dell’adolescenza, per cui non sai dove stai andando, non sai come andarci ma comunque devi andare e non puoi tornare indietro.

Sembra non avere affanni, invece, questo film che arriva in sala dopo la benedizione del MoMA. Locarno le ha portato fortuna?

Visto i luoghi di confine in cui è stato girato, Locarno era l’approdo naturale per il suo debutto, anche se non osavo sperarlo. Quando ci hanno chiamati è stata un’emozione, anche perché ci ha consentito di avere tutti i ragazzi alla prima.


Daniela Faggion, giornalista e scrittrice. Per la casa editrice Morellini ha pubblicato “Tutto a posto!“, il manuale ‘made-in-Italy’ per fare ordine nei cassetti e negli armadi ma anche in tutti gli aspetti della vita quotidiana

 

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