L’ecumenismo è una delle priorità di papa Francesco

di Gino Driussi

L’ecumenismo è sicuramente una delle priorità del pontificato di papa Francesco. Lo illustra bene, nel suo ultimo libro uscito recentemente e intitolato appunto “L’ecumenismo di Papa Francesco – il cammino ecumenico del XXI secolo”, Riccardo Burigana, docente di storia ecumenica della Chiesa all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia e direttore del Centro studi per l’ecumenismo in Italia. Burigana, nato a Firenze nel 1964, è uno dei massimi esperti italiani di ecumenismo. Ha pubblicato numerosi saggi sulla storia della Riforma, sul Concilio Vaticano II e sul movimento ecumenico. Lo abbiamo intervistato.

Prof. Burigana, perché un libro sull’ecumenismo di papa Francesco?

Perché con papa Francesco il dialogo ecumenico, cioè lo sforzo, l’impegno quotidiano della Chiesa cattolica per costruire l’unità visibile della Chiesa è diventato una delle priorità di Bergoglio sin dalle sue prime parole, quando ha ricordato a tutti che la Chiesa di Roma presiede nella carità le Chiese di tutto il mondo.

Il fatto che la costruzione dell’unità visibile delle Chiese costituisca dunque una delle priorità del pontificato di papa Bergoglio lo pone in continuità con i suoi predecessori, a partire da Paolo VI, per non parlare di colui che è stato all’origine di tutto, cioè Giovanni XXIII. Tuttavia, dopo un grande entusiasmo iniziale (lei parla di una nuova stagione del cammino ecumenico), un entusiasmo condiviso anche da alti esponenti delle altre Chiese, si stenta a vedere progressi e risultati tangibili, soprattutto a livello teologico ed ecclesiologico, anche se, leggendo il suo libro, si rimane colpiti dalla ricchezza di incontri, iniziative, documenti, dichiarazioni comuni sotto questo pontificato. Ma al di là di tutto ciò, non c’è un po’ di delusione?

No. E’ vero che io insegno storia ecumenica della Chiesa, quindi perdonerà la mia “deformazione” professionale. Certamente, soprattutto negli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II, c’è stato un grande entusiasmo, anche perché era un momento del tutto nuovo: i cristiani si incontravano alla luce del sole e  la Chiesa cattolica metteva a disposizione tutta la sua ricchezza spirituale e teologica. Però c’è stata anche l’illusione che l’unità si potesse costruire semplicemente con la firma di documenti, cioè trovando delle soluzioni teologiche, che vanno sì trovate, ma non si costruisce l’unità visibile della Chiesa se non insieme a una seria riflessione sulle differenze e se non si cambia stile di vita, cioè non si procede a quella “conversione del cuore”, cui tenevano tanto i padri del Concilio Vaticano II, così come tanti uomini e donne delle Chiese cristiane, fin dal loro apparire nei primi secoli.

Ma come si rapporta papa Francesco con l’ecumenismo? Che cosa lo differenzia dai suoi predecessori?

Francesco è in perfetta continuità con lorio per quanto riguarda l’impegno della Chiesa cattolica in questo campo. Soprattutto nei suoi primi interventi, egli ricordava questa continuità, che ha ovviamente saputo declinare con uno stile nuovo, stile che costituisce una delle grandi caratteristiche del suo pontificato, insieme con la richiesta di una dimensione quotidiana del cammino ecumenico. Non è sufficiente – anche se è importante – fermarsi una volta all’anno, in gennaio, per una settimana per pregare tutti insieme per l’unità dei cristiani e per chiedere al Signore perdono per le nostre divisioni, ma, accanto a quella settimana, bisogna pregare e vivere l’unità ogni giorno, trovando quello che unisce i cristiani nell’esperienza quotidiana, che siano il martirio, l’accoglienza, il leggere e ascoltare insieme la propria storia di fede in Cristo.

Nelle conclusioni del suo libro, lei, dopo aver ricordato che il desiderio di una migliore conoscenza dell’altro, ha profondamente segnato il cammino ecumenico del XX secolo, indica alcune piste da seguire in questo XXI secolo: scrivere una storia ecumenica della Chiesa, vivere il cammino ecumenico nel quotidiano, un cammino che deve permeare la vita di ogni cristiano, e infine puntare sull’accoglienza dell’altro, soprattutto di chi è nel bisogno, come ha appena ricordato. Quindi c’è ancora molta strada da fare. Lei è fiducioso sul futuro dell’ecumenismo?

Noi a volte dimentichiamo che il cammino ecumenico è ancora molto giovane rispetto alla vita della Chiesa, che per secoli è stata segnata dalla paura dell’altro, dalla preoccupazione . È molto più semplice costruire un muro per coltivare l’illusione della difesa che immaginare invece un ponte che unisca cristiani di tradizioni diverse. Io sono fiducioso perché stiamo vivendo un tempo in cui i cristiani hanno riscoperto la gioia di stare insieme e soprattutto di testimoniare quel Cristo che è amore, che cambia il mondo e che accoglie tutti. Ecco, i cristiani sono chiamati a costruire l’unità della Chiesa insieme e al tempo stesso a edificare un mondo di armonia, di gioia, di profonda sintonia tra uomini e donne di buona volontà.

 

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