L’energia pulita del futuro comincia da un bollitore d’acqua

di Marco Nori, CEO di ISOLFIN

Si avvicina il momento in cui il nucleare sarà sinonimo di energia «pulita». Quello compiuto nei primi giorni di febbraio dagli scienziati che lavorano al Joint European Torus di Culham, in Gran Bretagna, è un clamoroso passo in avanti: fisici e ingegneri del consorzio EuroFusion sono riusciti a produrre 59 megajoules, pari a circa 16 chilowattora di elettricità, innescando una fusione nucleare in ambiente controllato per pochi secondi.

Non è la prima volta che il Jet raggiunge obiettivi importanti: anche 25 anni fa la stessa macchina è riuscita a generare calore. Ma questa volta, la quantità è doppia. In realtà è sufficiente ad alimentare pochi bollitori d’acqua, ma lo scenario che apre è rivoluzionario. «Abbiamo dimostrato che possiamo creare una mini-stella dentro la nostra macchina e tenerla accesa per 5 secondi. Entriamo in una nuova dimensione», ha spiegato Joe Milnes, scienziato alla guida delle operazioni, dopo il successo. Sono le stelle, come accadeva a chi salpava verso terre sconosciute, a indicare la rotta da seguire.

I vantaggi della «fusione», rispetto alla «fissione» che anima le centrali nucleari esistenti, sono molteplici. Anzitutto, si tratta di energia «sicura» dato che, a detta degli esperti, non può innescare processi incontrollati e sarà ben più semplice da gestire rispetto ai reattori in funzione oggi.

In secondo luogo, si tratta di energia «pulita». Ad alimentare il reattore sono Deuterio e Trizio, isotopi dell’Idrogeno: un «combustibile» facilmente reperibile: il primo si trova nell’acqua del mare, il secondo è ricavabile dal litio. Le particelle vengono fatte scontrare tra loro ed il procedimento genera energia sotto forma di calore. Nulla a che vedere con i materiali necessari a innescare il procedimento di fissione, ovvero la «rottura» dei nuclei di atomi di uranio o plutonio. Il risultato della fusione è l’elio, il gas che viene utilizzato per far volare i palloncini. Non ci sono fumi, non vi sono emissioni di anidride carbonica. Sembra troppo bello per essere vero.

In terzo luogo, questo procedimento ha grandissime potenzialità in termini quantitativi: una volta perfezionate le tecnologie, tutti gli altri impianti per la produzione di energia saranno destinati ad andare in pensione.

Il risultato registrato in Gran Bretagna, tuttavia, è ancor più significativo se consideriamo il percorso condiviso che lo ha generato. EuroFusion è un consorzio fondato nel 2014 che poggia su scienziati di 25 paesi diversi del Vecchio continente, tra cui anche la Svizzera. E qui è inevitabile pensare alle sinergie europee e quali risultati possiamo raggiungere lavorando tutti insieme invece che atomizzarci in Brexit e altre scissioni.

Ma l’esperimento condotto al Jet è solo una tappa verso una meta più ambiziosa: la messa in funzione di Iter, il reattore termonucleare internazionale in costruzione a Cadarache, nel sud della Francia. In questo caso, il progetto non coinvolge solo gli stati europei, ma mezzo mondo: uno sforzo comune che va oltre i confini degli stati per inseguire un risultato ambizioso. La speranza è quella di veder partire le attività di Iter nel 2025 e le prime fusioni nel 2035. Certo, per una produzione di elettricità su vasta scala serviranno ancora diversi decenni e probabilmente non si farà in tempo per il 2050, anno in cui, a detta degli esperti, dovrebbero maturare i frutti della decantata «transizione ecologica» messa nero su bianco nel Green Deal europeo: obiettivi e regole che, inevitabilmente, risentono degli interessi di parte, dei pregiudizi e degli squilibri geopolitici del momento. Con la ricerca verso la fusione, invece, la strada è segnata. E se gli sforzi di tutti gli attori in campo andranno nella stessa direzione, sarà più semplice raggiungere la meta.

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