L’impronta ecologica fa la differenza

Buone pratiche nei musei per ridurre l’impatto ambientale: così il green management ridisegna gli spazi e crea nuovi percorsi tematici.

Le parole cultura e sostenibilità si richiamano in un gioco di rimbalzi semantici. Il verbo latino sustinere esprime l’azione di reggere e tenere in piedi ma anche quella di difendere e tutelare, dando prova di resistenza e tolleranza, altro suo significato. Così il compito antropologico della cultura non è forse quello di salvaguardare, nel suo incessante evolversi, patrimoni di memorie e valori per tramandarli alle nuove generazioni? E la sostenibilità, come oggi la intendiamo, guarda proprio al futuro attraverso un impiego attento e misurato delle risorse nel presente. Se ogni cultura poi “sostiene” il diritto di esprimersi in un contesto globale, lo sviluppo sostenibile, misurabile non solo con indicatori economici, difende i principi di giustizia sociale ed equità intergenerazionale.

In merito alle riflessioni sul ruolo dell’arte nella sostenibilità, gli enti culturali oggi possono fare la differenza. Michela Rota, architetto, membro di ICOM Italia, esperta di museografia e sostenibilità, partecipante all’ICOM Working Group on Sustainability (nato nel 2018 e formato da 14 esperti per diffondere gli obiettivi di sviluppo sostenibile e le tematiche degli accordi di Parigi), ci ha aiutato a capire meglio questa sfida ed insieme opportunità per i musei: “Il museo” ci spiega” può dare un contributo efficace allo sviluppo sostenibile e svolgere un ruolo di primo piano nella società contemporanea: responsabile del patrimonio culturale e paesaggistico in quanto ente pubblico, come un’antenna riceve e diffonde messaggi all’interno del territorio urbano, montano o rurale in cui è inserito; in rete con altri musei e istituzioni (da qui il concetto di museo diffuso) può promuovere un approccio sistemico e più partecipato lavorando sulla componente educativa, creativa, ludica e sul pensiero critico.”

Musei e sostenibilità integrata” è il titolo del suo libro (presentato quest’anno al Base di Milano dalla Presidente ICOM Italia Tiziana Maffei) per fornire principalmente delle linee guida ai responsabili e agli operatori museali. In cosa consiste implementare nei musei una logica di green management?

Perché un museo possa avviare un percorso verso la sostenibilità, è necessario che all’interno ci siano persone che se ne facciano carico e che sentano questi temi come urgenti. Il green management dà una serie di approcci possibili perché ogni museo è diverso così il contesto in cui è inserito. Nei casi di successo, una dichiarazione ufficiale all’interno della missione si accompagna alla definizione di piani strategici con obiettivi e azioni precise e puntualmente aggiornate. Un grande tema è l’edificio dove entrano in campo aspetti che determinano un’efficienza energetica maggiore, un minor uso delle risorse materiali per ridurre l’impatto sull’ambiente in riferimento all’obiettivo verso città post-carbon. Una pratica che si sta diffondendo è quella di misurare la propria impronta ecologica (carbon footprint) parametro che tiene conto di tutto il flusso energetico compreso il movimento delle persone nello spazio. C’è poi una serie di linee guida sulle tematiche delle collezioni per far passare nuovi messaggi e sull’utilizzo e il riciclo di materiali perché tutto l’allestimento in sé sia sostenibile per cui è anche possibile non rifarlo ma aggiungere nuovi livelli di comunicazione a quello preesistente.

Può farci qualche esempio di museo che si è già attivato in questo senso?

Tra i casi internazionali di successo che ho raccolto attraverso incontri e sopralluoghi, il Field Museum di Chicago, il Cooper Hewitt di New York, l’Isabella Stewart Gardner Museum a Boston mettono in atto buone pratiche sia per la gestione dell’edificio che per le collezioni e gli allestimenti in un’ottica di conservazione programmata. In Italia, il Muse di Trento è un eccellente esempio in quanto edificio sostenibile, centro di ricerca sui temi del clima e del paesaggio, di conservazione dell’ecologia, di educazione ambientale i cui contenuti vengono co-creati sulla base del concetto di cittadinanza attiva: è il primo ad aver definito un bilancio di sostenibilità messo a disposizione del pubblico. Cito anche il Museo A come Ambiente di Torino e il museo del Castello di Rivoli per i suoi progetti didattici. Poi c’è tutto il nuovo filone di musei tematici dedicati alle emergenze climatiche come il Climate change a New York, il Climate Museum UK e i “musei pop-pup” senza una sede fisica fissa.

Come possono cambiare gli spazi museali nell’ottica della sostenibilità e di un’architettura empatica?

Gli ambienti per le attività espositive, educative, didattiche, di ricerca e di intrattenimento devono essere prima di tutto accessibili, sicuri e caratterizzati da livelli di confort crescenti per potenziare l’esperienza di visita, fornire un’interpretazione delle collezioni e veicolare messaggi. Se l’obiettivo verso cui tendere è quello dell’inclusività e della partecipazione, allora significa anche differenziare l’offerta e garantire la flessibilità di alcuni spazi indipendenti da quelli destinati ai percorsi espositivi dove svolgere attività diverse da quelle tradizionali, con accesso autonomo e sicuro, aperture serali e notturne per eventi, workshop e dibattiti aperti al pubblico. Al lato della grande hall del MAXXI di Roma c’è uno spazio dove si possono svolgere liberamente attività come lo studio e il coworking. Così si possono prevedere partnership con i settori delle industrie culturali e creative: è il caso del New Museum di New York dove dal recupero di un edifico confinate è sorto un incubatore per professionisti che lavorano all’intersezione tra arte, design e tecnologia. Questa predisposizione alle nuove attività potrebbe diventare un fenomeno diffuso e dimostra come i musei possono innescare processi di rivitalizzazione e rigenerazione urbana e di valorizzazione del patrimonio culturale. La trasformazione degli spazi va pensata poi non solo secondo i tradizionali parametri di qualità dell’area interna per confort termico, acustico, visivo, con un approccio orientato principalmente verso l’edificio e la sua efficienza energetica ambientale ma inserendo criteri che mettano al centro la persona e il suo benessere: mi riferisco a dei protocolli di certificazione come il welding standards. Inoltre, concepire spazi nuovi e adeguare quelli esistenti significa progettare per le diverse tipologie di utenti e le loro esigenze, individuate tramite interviste e test, includendo principi ergonomici e prendendo come riferimento quelli dell’Universal Design con le varianti del Design for All e del Design Thinking.

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