Russia e Cina. Da Stalin e Mao, a Putin e Xi

Di Amedeo Gasparini

In foto Vladimir Putin e Xi Jinping

«Nessun governante russo può ignorare la straordinaria disparità demografica tra Cina e Russia»: lo sapeva bene Henry Kissinger (On China), che tra i due nemici degli Stati Uniti, durante la Guerra Fredda, ha mediato con il détente realista. Mezzo secolo dopo, i nemici dell’America – e dell’Occidente nel suo complesso – non sono cambiati. A livello economico, Pechino ha superato Mosca da tempo ed è determinata ad anticipare il sorpasso di Washington come prima economia del pianeta. La Cina di Xi Jinping si serve e si servirà della Russia di Vladimir Putin in maniera occasionale e nella più totale assenza di nei confronti del junior partner; un atteggiamento che il Cremlino – in pesanti difficoltà strutturali ed economiche, ma ricco di risorse naturali – ricambia con la sua tipica freddezza strategica. Una delle differenze tra la Guerra Fredda e le forti tensioni tra mondo occidentale e autoritario dell’oggi, è che l’Unione Sovietica non ha mai hai avuto un’importante integrazione commerciale globale; la Cina odierna invece ne è uno dei maggiori promotori. Economicamente, l’Occidente non può fare a meno della Cina, ma poteva fare a meno o quasi dell’URSS e dei suoi alleati.

un francobollo cinese del 1950 raffigurante Stalin e Mao che si stringono la mano

Oggi come nella Guerra Fredda, l’Occidente può essere sollevato dal fatto che i due regimi autoritari siano divisi tra di loro, ma le rivalità tra Russia e Cina sono decennali. La prima aveva vinto platealmente la Seconda Guerra Mondiale; la seconda pure, ma non era un potente policy maker che potesse rivaleggiare con il Primo Mondo. Il rapporto tra Stalin e Mao Zedong – promotori di versioni diverse di Comunismo – era migliore di quanto si pensi. La prima mossa di politica estera di Mao fu la sua prima uscita dalla Cina, il 16 dicembre del 1949, due mesi dopo aver proclamato la Repubblica popolare per andare a Mosca. In fase di assestamento dopo la guerra, la Cina copiò il modello del centralismo democratico sovietico e guardava al Cremlino con curiosità, ma non era pronta ad allearsi con Mosca, dal momento che Mao doveva consolidare la situazione interna al paese post-guerra civile. Il leader del Partito Comunista Cinese, intendeva presentarsi all’URSS con un’economia almeno ai livelli del pre-guerra, cosa che avrebbe conferito onore e stabilità alla nazione cinese.

Le prime collaborazioni tra i due universi comunisti avvennero poco prima dello scoppio della guerra di Corea (1950), quando Kim Il Sung si consultò sia con Stalin che con Mao sul da farsi e si vantava di essere un canale privilegiato tra i due capi di Stato. Dal canto suo, Stalin, aveva capito l’entità della vittoria cinese nel 1949 e preferì congelare le relazioni con la Cina per focalizzarsi sul nuovo bottino territoriale in Europa centrorientale, conquistato dopo la sconfitta della Germania nazionalsocialista. A Yalta, Stalin aveva insistito con Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill affinché la Manciuria, che era stata invasa dal Giappone nel 1931-2, venisse riconosciuta come territorio in cui i sovietici avessero diritti speciali in termini di influenza strategica. Non stupì dunque che la Cina iniziòad allontanarsi dall’URSS e a tagliare le relazioni con il gigante sovietico quando al poterearrivò Nikita Krusciov, che definì Mao come un “avventurista, deviazionista e nazionalista”.

Il contadino ucraino voleva che l’URSS fosse amata nel mondo, ma non tollerava altre forme di Comunismo. Lo scomodo “dossier” di nome Tito Broz era stato archiviato con Stalin, ma la Cina non era la Iugoslavia. Tuttavia, fu proprio Krusciov a convocare nel 1957 a Mosca la conferenza delle nazioni comuniste, a cui partecipò anche Mao – che era la seconda volta che usciva dal paese. La conferenza servì anche a dimostrare l’enorme potenza sovietica che aveva appena lanciato lo Sputnik. Le differenze tra Mosca e Pechino rimanevano ed andavano ben oltre il piano dottrinale. Le riforme di Krusciov erano considerate borghesi da Pechino, che condannò i revisionismi della economia post-Stalin. Mao, molto più radicale del segretario del PCUS, aveva più rispetto per Stalin. Non perdonò mai a Krusciov la destalinizzazione, che si allontanava dall’idea di Comunismo primordiale, che il presidente cinese stava estendendo in Cina.

Krusciov, dal canto suo, era un riformatore: aveva fatto rimuovere le truppe sovietiche dall’Austria, migliorò le relazioni con la Iugoslavia, creò il Patto di Varsavia nel 1955 e aprì le relazioni diplomatiche con Bonn. Il processo di destalinizzazione si scontrava con l’idea cara a Mao di rivoluzione continua. Nel 1965, il presidente cinese incontrò il premier sovietico Aleksej Nikolaevič Kosygin. Come racconta Kissinger, alla fine del colloquio, Mao disse che le differenze tra il sistema comunista sovietico e quello cinese sarebbero continuate per i prossimi diecimila anni. Kosygin rispose stupefatto chiedendo al presidente se davvero dopo le fruttuose discussioni e le rassicurazioni che l’Unione Sovietica aveva dato alla Cina, non fosse il caso di ridurre il numero degli anni. Mao stette al gioco: abbassò a novemila. L’episodio mostra come la Cina – inflessibile e paziente – ragioni nel lungo termine, come sottolineava Sun Tzu ne L’arte della guerra. Cina e Russia hanno modi diversi di concepire le relazioni tra paesi e i contesti geopolitici; così come hanno prospettive diverse su come dovrebbero coltivare i rapporti tra di loro e con gli altri paesi.

Oggi sia Russia che Cina sono animati da un sentimento nazionalista e totalitario. Dagli anni Ottanta in poi, la Cina di Deng Xiaoping capì la necessità di instillare progressivamente dosi di capitalismo nell’economia. Un esperimento inedito che avrebbe prodotto la Cina che vediamo oggi, ma che non ha avvicinato il Dragone all’Occidente sul piano valoriale. Russia e Cina sono su due piani diversi – nel 2019 la Cina è cresciuta del 6.1 per cento, la Russia dell’1.3 – ma legati tra di loro, se non dal Comunismo, dall’incessante lavorio di indebolire l’Occidente. Ivan Krastev e Stephen Holmes (La rivolta antiliberale) spiegano che «a unire Putin e Xi sono la fede nel valore supremo della stabilità politica, l’ostilità all’idea democratica che chi esercita il potere debba essere soggetto a limiti di tempo di mandato e la diffidenza generale nei riguardi della competizione politica». Inoltre, «al di là di questi elementi, Putin e Xi non hanno alcuna visione comune di come debba essere una società sana. Le loro azioni sono guidate dall’interesse nazionale […], influenzate dall’orgoglio e dal risentimento per le umiliazioni subite dall’Occidente».

In un intermezzo durante la conferenza moscovita del 1957, come racconta Kissinger, Krusciov e Mao si incontrarono privatamente in una piscina. Parlarono del Dalai Lama, scappato nel Nord dell’India; una questione che non era – e non è – un dettaglio per la Cina comunista. L’autorità religiosa e la regione tibetana sono ancora al centro della volontà di espansionismo nazionalista cinese. Anche la Russia, oggi come al tempo, ha le sue zone strategiche – come l’Ucraina dell’Est – che intenderebbe annettere. Nell’incontro della piscina, Krusciov stava in acqua e galleggiava grazie ai braccioli; Mao era a bordo vasca. Lo guardava dall’alto in basso. All’epoca, i tempi non erano maturi affinché la Cina squadrasse la Russia. Tre generazioni dopo, la Russia è ancora in acqua – e necessiterebbe di un canotto, visto che la sua economia è in crisi ed è un decimo di quella di Pechino; la Cina invece è in piedi. Domina. (www.amedeogasparini.com)

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