Siamo fatti di carne e… ossa. Prendiamocene cura

L’osteoporosi è una patologia che colpisce le ossa rendendole più fragili e aumentando il rischio di frattura.  Spesso considerata una “non-malattia” o un problema solo per pochi, in realtà -dati alla mano- colpisce 200 milioni di persone nel mondo. E non sono solo donne: una frattura su quattro è a carico della popolazione maschile. Per combatterla è necessario conoscerla bene e per questo chiediamo l’aiuto del Professor Andrea Giustina, primario dell’Unità di Endocrinologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e professore Ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele.

Professore, nel vissuto comune l’osteoporosi è un problema che interessa solo le donne e la terza età. Quanto c’è di vero in questa percezione? È vero che colpisce più il genere femminile?

“È vero, il fattore di rischio principale per l’Osteoporosi è la menopausa. La menopausa è un evento molto preciso nella vita della donna in cui si ha una perdita sostanzialmente totale della funzione ovarica e della produzione estrogenica. Dato che gli estrogeni sono gli ormoni fra i più importanti per la regolazione del metabolismo osseo, soprattutto per controllare l’attività degli osteoclasti, che sono le cellule deputate al riassorbimento quindi alla distruzione del vecchio osso, la carenza estrogenica scatena un eccesso di riassorbimento e quindi di distruzione che eccede la capacità dell’osso della donna dopo la menopausa di sintetizzare nuovo tessuto e quindi questo sbilanciamento crea di fatto l’osteoporosi.
L’osteoporosi è anche caratteristica dei soggetti anziani in quanto il soggetto anziano è prevalentemente carente di vitamina D e la carenza di vitamina D determina uno stato di latente ipocalcemia e quindi di iperparatiroidismo secondario che sta alla base dell’aumentato riassorbimento osseo che c’è nell’ età geriatrica. Chiaramente, l’assunzione che l’osteoporosi riguardi solo il sesso femminile non è corretta in quanto noi sappiamo che una frattura su quattro –  e la frattura è la manifestazione clinica dell’osteoporosi- è a carico del sesso maschile.
Dobbiamo anche dire che l’emergenza COVID ha evidenziato come, mentre nelle donne sia abbastanza consolidato il concetto che le ossa vadano controllate, che siano in qualche modo a rischio e di conseguenza la terapia con vitamina D è piuttosto frequente, nel maschio ciò non avviene.
C’è pertanto una sorta di bias di genere capovolto poiché in questo caso sono i maschi a soffrirne: non vi è nella percezione comune una necessità di attenzione all’osso nel maschio. Anche se sicuramente nel maschio la cosiddetta andropausa non è un fenomeno analogo e clinicamente così impattante come la menopausa, noi sappiamo che anche gli ormoni maschili sono importanti per la salute dell’osso e nel maschio con l’invecchiamento si ha una graduale riduzione, perlomeno in media, della produzione del testosterone che è l’ormone maschile. Soprattutto nell’età più avanzata- dopo i 70 anni- il rischio di frattura comincia a diventare significativo anche nel sesso maschile”.

A che età è opportuno cominciare a prendersi cura delle proprie ossa? Che cosa possiamo fare concretamente?
“Fin da piccoli, poiché l’acquisizione del cosiddetto “picco di massa ossea”, l’aumento della massa ossea, si ha nei primi 15/20 anni di vita e in questa età è particolarmente importante avere attenzione per l’alimentazione. Diete povere di calcio possono mettere a rischio l’acquisizione del picco di massa ossea e dopo i 18/20 anni la massa ossea non si accresce più, ma viene conservata fino ai 40/50 anni.  Coloro che hanno avuto un picco di massa ossea più basso sono più a rischio –per esempio se sono donne dopo la menopausa- di diventare osteoporotici.Quando si dice che l’osteoporosi è un fenomeno fisiologico si esprime un concetto profondamente sbagliato. E’ vero che tutte le donne perdono osso durante la menopausa, soprattutto  nei primi 2 anni, ma è assolutamente anche vero che l’osteoporosi si ha solo quando questa perdita di osso è particolarmente importante o quando avviene in una donna che ha acquisito un ridotto picco di massa ossea, e che quindi  per esempio ha fatto una dieta molto povera di calcio quando era giovane o ha avuto cicli mestruali irregolari o periodi senza cicli mestruali – le cosiddette amenorree- durante l’età fertile o ha avuto una prima mestruazione tardiva o una menopausa precoce”.

Quanto conta l’alimentazione?
“È assolutamente importante l’alimentazione e lo stile di vita, in quanto la vita all’aria aperta e l’esposizione al sole sono fondamentali per la produzione della vitamina D, un ormone che viene prodotto dalla cute in risposta alla luce solare. Dato che la vitamina D nell’alimentazione non è particolarmente rappresentata e quindi non è possibile, se il cibo non è addizionato di vitamina D, approvvigionarsi di una quantità sufficiente per l’organismo con l’alimentazione, lo stile di vita è fondamentale in questo senso. La vitamina D, lo ricordiamo, è l’ormone che permette all’organismo di assorbire il calcio che viene introdotto con la dieta. Senza vitamina D o con poca vitamina D non solo si assorbe poco calcio, ma si ha una ridotta mineralizzazione delle ossa”.

Lo sport può essere un valido alleato e in che misura?

“Ricordiamo che anche l’attività fisica e quindi l’attività muscolare è molto importante per mantenere l’osso in salute poiché stimola una normale attività metabolica dell’osso e ne permette quella che è la fisiologica distruzione dell’osso vecchio-quindi meno competente- e la sintesi di osso nuovo, quindi più competente. Pertanto, si può e si deve iniziare da piccoli ad avere attenzione per le proprie ossa e per mantenerle in salute bisogna porre attenzione a: alimentazione, attività fisica e esposizione alla luce solare”.

Il Covid ha fagocitato le attenzioni di tutti, ma sarebbe un errore tralasciare le altre patologie. L’osteoporosi secondo lei è una malattia sottovalutata di cui si parla troppo poco?
“Il Covid, come abbiamo dimostrato in diversi studi prodotti dall’Unità di Endocrinologia del San Raffaele, ha delle importanti conseguenze a livello osteo-metabolico. Abbiamo infatti riportato che molti pazienti Covid ospedalizzati hanno valori di calcio ridotti nel sangue, quindi ipocalcemia, e che questa ipocalcemia sarebbe un fattore predittivo rispetto all’andamento della malattia. Abbiamo anche evidenziato come questi pazienti abbiano un ridotto livello di vitamina D e questo è altrettanto importante in quanto la vitamina D oltre ad avere un’azione come abbiamo detto sul metabolismo del calcio è fondamentale nel modulare e nel sostenere alla risposta immunitaria e abbiamo infine dimostrato che i pazienti con Covid hanno frequentemente fratture ossee vertebrali e che la presenza di queste fratture è un indice prognostico negativo. Questo avvalora pertanto il fatto che durante situazioni emergenziali come quella del Covid, l’attenzione per il metabolismo del calcio e per l’osso è fondamentale. L’idea di supplementare di vitamina D e di evitare che i soggetti siano quindi più suscettibili al Covid e nello stesso tempo mantengano un’ottimale salute osteo-metabolica è una nozione estremamente importante.
Per quello che riguarda l’osteoporosi in generale, più che essere una malattia sottovalutata, è spesso considerata una “non-malattia” e questo è un elemento che culturalmente costituisce un grande ostacolo alla gestione di questi pazienti che spesso sono pazienti anche gravi, con pluri-fratture in cui quindi non si eseguono gli esami che sono il minimo indispensabile per fare diagnosi di osteoporosi e per stabilire terapie adeguate per l’osteoporosi. È quindi sicuramente una malattia di cui si deve parlare per aumentare la sensibilità, sia nella classe medica che nella popolazione”.

Quali traguardi sono stati raggiunti di recente nella cura dell’osteoporosi?
“Negli ultimi anni si è assistito attraverso la ricerca all’ottenimento di farmaci sempre più efficaci nella cura dell’osteoporosi in grado in molti casi di ridurre la distruzione dell’osso.I cosiddetti bifosfonati per esempio- ma anche un anticorpo monoclonale che si chiama denosumab- che possono essere molto efficaci nella cura dell’osteoporosi post-menopausale, ma anche farmaci anabolici come il teriparatide che possono aiutare a ricostruire il nuovo osso. Abbiamo quindi oggi una serie di farmaci efficaci, ben tollerati, ed è assolutamente fondamentale la diagnosi della malattia per stabilire la cura più efficace. Queste cure riducono il rischio di frattura in modo anche molto significativo e vanno assolutamente perseguite nei soggetti in cui viene diagnosticata l’osteoporosi, generalmente in associazione con l’assunzione di vitamina D”.

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