Sono felice di vivere a Zurigo, ma il mio futuro (mi auguro) è in Italia

La lunga storia di immigrazione di Giovanna Ales, italiana nata in Gran Bretagna e ora residente in Svizzera.

di Tino Politano, studente bilingue del Liceo Artistico di Zurigo, “giornalista per un giorno

Foto: Giovanna Ales

Giovanna Catherine Ales ha una lunga storia d’immigrazione. È cresciuta in giro per il mondo, ma è nata a Northampton, Gran Bretagna, perché sua madre è irlandese. Giovanna parla sia l’italiano sia l’inglese molto bene. In realtà non avrebbe mai voluto trasferirsi stabilmente in Svizzera: pensava che fosse una cosa temporanea.

È un venerdì sera di giugno 2023, io e Isabel (figlia di Giovanna) siamo seduti in un caffè che si trova dentro la stazione principale di Zurigo, aspettando l’arrivo di Giovanna Ales per l’intervista. La madre di Isabel arriva in ritardo, perché non ha trovato un parcheggio in città. L’abitudine italiana di prendere l’auto per andare dappertutto, anche alla stazione ferroviaria, persiste.  

Arriva la signora Ales, che si mostra subito una persona molto gentile e con le idee molto chiare. Cominciano subito le mie domande: com’è avvenuto il trasferimento e il cambio radicale della tua vita? Come ti sei sentita? C’è qualcosa che avresti fatto diversamente?

Giovanna, che è un medico, mi spiega che si è trasferita in Svizzera per seguire suo marito. Che, nato e cresciuto a Roma, ha sempre sognato di lavorare in Formula Uno. Nel 2006 gli offrono un ottimo lavoro in Svizzera presso una scuderia: a lui, che aveva appena concluso il dottorato in Italia e non aveva ancora lavoro, accettare sembrava un’ottima scelta. Marito e moglie (Isabel, la loro prima figlia, non era ancora venuta al mondo) si trasferiscono nella Confederazione nel gennaio del 2006.

A differenza di tanti immigrati non hanno viaggiato in treno, ma in aereo. La classica scena con le valigie strapiene nella stazione chiassosa piena di gente? Acqua passata. “All’epoca non avevamo ancora bambini, per cui il trasferimento è stato facile”, spiega Giovanna. Che racconta: “I primi mesi ho avuto molte difficoltà. È stato un po’ difficile: il cambio del clima, il cambio della lingua, tutto”.
La Ales ha cominciato a spostarsi continuamente tra Italia e Svizzera: restava un mesetto nella Confederazione e poi magari tornava in Italia per 2 o 3 mesi. L’estate la trascorreva in Italia e anche Isabel è nata nello Stivale, perché Giovanna aveva tutti i suoi amici e colleghi in Italia e capiva molto anche la lingua.

Il signor Baudille e la signora Ales si sono trasferiti in Svizzera per via di un’offerta molto vantaggiosa, ma la loro idea era quella di ritornare in Italia qualche anno dopo: questo dimostra come l’immigrazione sia completamente cambiata rispetto al passato. Il fatto che Isabel sia nata in Italia, per esempio, mostra come i due coniugi avessero la possibilità di comportarsi in modo più libero. Una maggiore libertà, secondo me, favorita anche dalla possibilità di poter viaggiare in aereo.

Quando chiedo alla signora Ales che cosa significa per lei la nostalgia, non mi risponde “la musica del mandolino, la pasta, la pizza o il Colosseo di Roma”. Ecco la sua risposta, semplice e libera da cliché e da pregiudizi: “era nostalgia di tutto, ma soprattutto della famiglia”.

La signora Ales è cresciuta in una famiglia molto numerosa, molto unita e quindi è stato molto difficile per lei separarsi da essa, così come dalle sue amicizie. All’inizio la nostalgia era fortissima e ancora adesso la sente.

Giovanna è cresciuta a Roma, una città molto grande, con una cultura completamente diversa da quella Svizzera. Arrivati qui, lei e il marito si sono trovati a vivere in un paesino di campagna, dove non conoscevano nessuno e dove la gente era molto chiusa. La coppia all’inizio era isolata, perché erano riusciti a fare amicizia solo con i loro vicini di casa. “Stefania era italo-svizzera, parlava italiano, era molto simpatica, aveva un bambino della stessa età di Isabel e quindi abbiamo fatto amicizia. Però ecco, era praticamente l’unica persona”, ci racconta Giovanna.

Le cose sono migliorate quando i bambini hanno cominciato a frequentare la scuola italiana, perché sono riusciti a entrare in contatto con molte altre famiglie che erano nella loro stessa situazione. Sono tutte famiglie italiane che provengono dall’ambiente della Casa d’Italia e le loro amicizie durano da ormai 15 anni.

Giovanna mi dice che non ha amicizie profonde con famiglie svizzere: ancora oggi lei non si sente integrata nella cultura svizzera, anche perché non parla lo svizzero tedesco. “Grazie a Dio, io sul posto di lavoro parlo l’inglese”, dice

Alla domanda se la lingua sia una barriera grande per poter integrarsi risponde di sì, perché molte persone non parlano altre lingue, soprattutto gli anziani. Le sue coetanee non parlavano tutte inglese e men che meno l’italiano. Come la Ales sa bene, dare confidenza oppure iniziare un’amicizia con una persona che non capisce la tua lingua è molto difficile.
“Io stessa, se avessi un cinese come vicino di casa e questo non parlasse in italiano o in inglese, avrei molta difficoltà a instaurare un’amicizia”, dice la Ales. Che ha frequentato corsi di lingua tedesca. “Io sono al livello A2 ad essere molto generosi, eh”, dice e ride. Come ci spiega, ha una comprensione dello scritto abbastanza buona, riesce a capire un testo non troppo complicato, legge i giornali non troppo elaborati tipo “20-Minuten” e riesce a capire cosa dicono le persone se non parlano troppo velocemente. Però, spiega, ha enormi difficoltà a parlare il tedesco.

Però ora è molto contenta di vivere a Zurigo, una città che definisce molto aperta e multietnica. Il suo lavoro all’Università le piace, perché l’ambiente è internazionale. I momenti più problematici li ha vissuti durante i primi anni di vita dei bambini, perché lei non lavorava ancora ed era sempre confinata nel paesino di Grüningen, dove vive con la sua famiglia in una casa bellissima.

Essendo medico specializzato e conoscendo bene l’inglese, Giovanna ha trovato un posto di lavoro dopo pochi mesi di ricerca. Ha cominciato come supplente di una persona in congedo maternità e poi i datori di lavoro sono rimasti così contenti che hanno deciso di assumerla. Ha avuto la fortuna di capitare in un team fantastico e ha ottimi rapporti con i colleghi, che sono sempre interessati alla sua cultura.

Pensando al futuro, Giovanna Ales non si immagina in Svizzera. Dice che quando lascerà la Confederazione, non ci tornerà mai più. “Dipende anche da mio marito, però non mi vedo invecchiare qui”, afferma. E dalle scelte dei figli: se si sposeranno e rimarranno nella Confederazione e avranno dei figli italo-svizzeri, lei e suo marito verrebbero molto spesso in Svizzera a trovare i nipotini.

In ogni caso lo Stivale non è una meta obbligata. Se i figli decidessero di trasferirsi in un paese “climaticamente più favorevole”, potrà pure considerare l’idea di viaggiare in giro. I paesi che vuole rivisitare saranno l’Asia, Spagna, Singapore e l’Australia. Sono paesi molto ben organizzati, dice, dove si può vivere tranquillamente. Per quanto riguarda l’Italia, le piacciono molto Roma e il Sud dell’Italia, dove ha una casa. Concludendo dice che la sua “idea è quella di poter girare il più possibile e di non essere per forza vincolata in un posto”.

Comunque vadano le cose, per Giovanna la famiglia è un punto importante. Ha i genitori anziani, quindi sa bene che il tempo che passerà in Italia piano piano aumenterà. I figli diventano man mano più indipendenti e lei in futuro lavorerà solo ancora al 50%.

La Ales mi spiega che in Svizzera si lavora molto su obiettivi e c’è molta fiducia nei dipendenti. Non guardano il tempo che trascorri in ufficio e cosa fai, ma ti danno degli obiettivi e, finché tu rispetti le tue scadenze e fai ciò che devi, non ti dicono nulla. Invece in Italia le cose vanno in modo diverso: c’è ancora il cosiddetto presenzialismo, per cui, per quello che ricorda lei, a volte si è costretti a rimanere in ufficio, anche se si ha finito di fare tutto quello che si deve fare, solo per farsi vedere dal capo.

In Svizzera, invece, attardarsi molto in ufficio è visto quasi in modo negativo. La gente si sente autorizzata a pensare “non hai finito? Come mai stai ancora qua?”.
Quando Giovanna ha frequentato l’università era molto difficile entrare in certi ambienti, se non si era un po’ raccomandati anche in maniera benevole da qualcuno.

Quando poi ho chiesto la sua opinione sul sistema educativo della Svizzera, la sua risposta mi ha sorpreso: “Il sistema svizzero probabilmente non l’ho mai compreso, di sicuro lo trovo molto poco inclusivo: spesso, laddove non c’è una performance molta elevata, c’è poca comprensione”, spiega. 

Giovanna mi dice che nelle scuole svizzere si è imbattuta in molti problemi di bullismo e avendo figli italiani ha preferito non rischiare e li ha dunque mandati alla scuola italiana, dove, secondo lei, gli insegnanti sono più bravi e non esiste il bullismo. Giovanna ha mandato i suoi figli alla scuola italiana anche per una questione pratica: all’epoca, in Svizzera, si poteva andare a scuola solo avendo sette anni. Prima di quell’età non c’era niente di gratuito. Racconta che le “Kinderkrippen” private erano molto costose.  Invece alla Casa d’Italia, all’età di tre anni, ha potuto mandare i due bambini a scuola, così lei nel frattempo poteva tornare a lavorare.

La signora Ales ha continuato a mandare i figli alle scuole italiane per le elementari e poi per il percorso delle medie.

“Ti sei mai pentita di essere venuta qui? Pensi che la tua vita sarebbe stata migliore se avessi fatto un’altra scelta?”, le chiedo.

“Difficile da dire, sicuramente la Svizzera ci ha dato tanto, soprattutto dal punto di vista economico. Poi è un ambiente sicuro, funziona tutto e in estate è molto bella”. Le dispiace il fatto che i suoi figli abbiano vissuto “sempre con la valigia”: ogni Natale, ogni festa, in ogni occasione speciale dovevano tornare in Italia perché li hanno i parenti. “Quello che è mancato è forse la quotidianità di vivere o di avere vicino i nonni, gli zii…”.

“Quali sono i tre momenti migliori che hai vissuto qui in Svizzera?”, le chiedo alla fine. Mi risponde che a lei è piaciuto molto andare in giro in montagna quando i bambini erano piccoli, imparare a sciare, comprare la casa ed è molto soddisfatta del lavoro. E aggiunge: “non dimenticherò mai il poco tedesco che ho imparato, il fatto che gli svizzeri sono un popolo molto sano che bada a una buona alimentazione e fa attività fisica e che i bambini vengono lasciati molto liberi. Tutte cose che in Italia non esistono”.

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