Sono passati sei anni dal trattato delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi nucleari. E…

di Maurizio Simoncelli, Vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo

Quando il 7 luglio 2017 veniva approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il trattato per la proibizione delle armi nucleari – TPNW, il trattato che bandisce immediatamente per i firmatari l’arma atomica, i paesi del club nucleare (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia – autorizzati dal Trattato di Non Proliferazione TNP – e Israele, India, Pakistan e Corea del Nord – esterni al TNP) non parteciparono neppure alle votazioni, come anche i loro alleati, tra cui l’Italia.

L’invasione russa dell’Ucraina e le minacce di Putin di un possibile uso dell’arma nucleare hanno evidenziato la fondatezza delle preoccupazioni dei 122 paesi che allora vollero un nuovo trattato che non rinviasse a tempo indeterminato il disarmo nucleare.

Le 12.512 testate nucleari, per il 90% in possesso degli Stati Uniti e della Russia, stanno venendo modernizzate e se ne riscontra già un aumento anche quantitativo (+ 86 rispetto al gennaio 2022).

L’ex presidente russo Medvedev ha recentemente parlato di una probabile apocalisse nucleare, riprendendo le parole più volte pronunciate da Putin sin dall’inizio del conflitto. Il Concetto Strategico della NATO, approvato lo scorso giugno 2022, continua a far affidamento sulle armi nucleari.

La minaccia nucleare, tenuta relativamente sotto controllo nell’epoca della Guerra Fredda grazie ad una serie di tavoli di confronto e di accordi specifici, è da anni senza più spazi di negoziazione e di comunicazione.

Il conflitto ucraino ha solo evidenziato una situazione di deterioramento delle intese internazionali in questo settore, con accordi non più rinnovati, denunciati o sospesi: basta pensare al Trattato sulle forze nucleari di gittata intermedia (1987), al Trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (1990), al Trattato sui cieli aperti (1992), arrivando ad oggi con il New Start sulle armi nucleari strategiche recentemente sospeso da Mosca.

La denuncia statunitense del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPoA) nel 2018 ha fatto sì che l’’Iran abbia ripreso ad incrementare la sua capacità di arricchimento dell’uranio, per realizzare il materiale fissile per l’eventuale arma nucleare.

Tutti questi spazi di confronto e di reciproco controllo sono andati scomparendo, lasciando al proprio posto solo la possibilità di mostrare i muscoli, di esercitare politiche di potenza ancor più rischiose in campo nucleare, rinunciando ad ipotesi di sicurezza condivisa.

L’Archivio Disarmo, che da oltre 40 anni segue la questione nucleare, ritiene che sia importante riprendere il filo di colloqui interrotti da troppo tempo, perché il risultato, come si vede, non promette nulla di buono.

L’Italia, che ospita sul suo territorio nazionale 35 bombe nucleari statunitensi del tipo B61 a Ghedi (BS) e a Aviano (PN), non ha firmato il TPNW, ma potrebbe comunque partecipare agli incontri di quei paesi che lo hanno firmato e ratificato, segnalando la propria disponibilità a cercare una comune soluzione rispetto alla minaccia nucleare che il TNP finora non ha evitato.

Per approfondimenti: “IRIAD Review. Studi sulla pace e sui conflitti”, dossier speciale “Nonproliferazione e riarmo nucleare”, gennaio 2023

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