Un universo racchiuso in un’isola

Moreno Macchi

L’isola di Arturo. La Recensione di Moreno Macchi

«Forse la morte
è stata inventata
per bilanciare
la troppa noia … eh?
Arturo?

Elsa Morante,
L’isola di Arturo (romanzo),

Einaudi

L’Amalfitano, il vecchio aristocratico dell’imponente ritratto fotografico che troneggia nel vasto salone della sua dimora, alla sua morte ha deciso di lasciare ogni suo possedimento, e quindi anche il malandato e fatiscente castello sull’isola di Procida al Wilhelm (figlio di un mezzadro del luogo e di una tedesca che era stata un certo tempo sull’isola per poi tornarsene, col figlio lì concepito, nella sua Germania natale), che durante i suoi ultimi anni di vita gli ha tenuto fedele compagnia visitandolo quotidianamente.

Wilhelm è molto bello, ha i capelli biondi come l’oro, gli occhi azzurri e profondi come il mar Tirreno dello splendido e celeberrimo golfo di Napoli, ed è quello che definiremmo uno «spirito libero», anzi liberissimo. Del resto era stato a ottima scuola con l’Amalfitano, anche lui libero pensatore e assatanato misogino al punto di non tollerare presenze femminili in casa sua e di organizzare grandi ricevimenti e fastose feste mascherate riservati ai soli guaglioni dell’isola, e che a volte si improvvisava saggio o filosofo.

Preso possesso del decrepito castello (che vista la sua storia passata viene chiamato Casa dei guaglioni), dimora tutta polvere, crepe, divani sfondati, finestre dai vetri opachi, lampadine moribonde, pavimenti sporchi, mobilio traballante, soffitti pericolanti e mura incrinate, Wilhelm con una ragazza del luogo mette al mondo un figlio, Arturo, che purtroppo causa nascendo la morte della madre, come succedeva anche troppo spesso nei tempi andati.

Arturo viene quindi allevato in grandissima parte da Silvestro che lo nutre con latte di capra e fa le veci di un’ottima balia, occupandosi del piccolo con molta attenzione e con quasi materno affetto. Di lui si occuperà poi anche Costante (Arturo lo chiama suo «servo»!) che prepara ogni giorno un pasto caldo che servirà pure da cena, e avrà come fedele compagna per un lungo periodo un’affettuosissima cagnetta, Immacolatella.

Giunto all’adolescenza Arturo si ricorderà di Silvestro, molto sovente con una punta di nostalgia, e continuerà ad approfittare dei servigi di Costante. Il padre invece è più una specie compagno presente / assente per il piccolo eroe che ci narra la storia in prima persona; con lui nuota, si diverte, si stende a poltrire sulla spiaggia, vive al castello quando non decide repentinamente di partire per non si sa dove e non si sa perché, con la sua fedele, misera e sgangherata valigia tenuta chiusa da una corda. Per quanto tempo sarà assente? Cosa farà durante le sue sparizioni la cui durata è sempre un mistero per il figlio? Tornerà? Quando? Nessuna risposta a queste domande è fornita ad / da Arturo e quindi questi viaggi rimarranno un assoluto mistero anche per il lettore.

Finché un giorno (Arturo ha appena compiuto i quindici anni) Wilhelm ritorna con una nuova moglie, la giovanissima e impacciata Nunziata (di anni sedici) che ha sposato a Napoli, sottraendola agli affetti della sua numerosa famiglia, affetti che la ragazza avrà modo di rimpiangere abbondantemente nella sua nuova vita al castello. E Arturo dovrà abituarsi alla prima presenza femminile della sua vita.

Pur essendo cresciuto in completa autonomia, Arturo ha letto molto (la polverosa biblioteca dell’Amalfitano conteneva assi vissuti volumi di storia e molti libri d’avventura nonché un certo numero di classici della letteratura e un voluminoso atlante illustrato da immense mappe geografiche a colori); può così citare per esempio l’Amleto e il Canto di Paolo e Francesca della Divina commedia, parlare di Tristano, di certi romanzi epici e cavallereschi o ancora delle gesta di Alessandro Magno, il bellissimo e eroico re macedone dallo sconfinato impero (che Arturo erige a suo modello) o ancora commentare la proverbiale gelosia di Otello, quasi pari alla sua, sempre negata, nascosta, rimossa, occultata ma assai reale nei riguardi della matrigna prima e del fratellastro poi.

Una lettura davvero piacevole quella di questo ormai «classico» romanzo, apparso nel 1957, e appartenente al panorama letterario italiano della seconda metà del secolo scorso; un libro da leggere per scoprire (o riscoprire) la bravura di una grande scrittrice, una lingua modellata con maestria e una struttura romanzesca semplice ma mai banale; costruita in modo lineare, che segue l’inesorabile scorrere del tempo e l’evoluzione fisica, mentale e psicologica del giovane narratore osservata con perizia, grande profondità e intelligenza.

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