In politica, per identità si intendono due cose. Da una parte la scomparsa e l’annacquamento dell’identità nazionale frutto, in parte, della globalizzazione. Questo genere di identità attrae l’attenzione del mondo conservatore e ultraconservatore, che denuncia la scomparsa dell’essere “italiano”, “francese”, “americano”, etc. a favore di un ampio multiculturalismo nel quale, per definizione, il concetto stesso di identità nazionale perde di significato.
Dall’altra, un altro concetto di identità, ovvero le nuove identità a cui alcune comunità sociali dicono di appartenere. Questo secondo concetto di identità attrae l’attenzione invece del mondo progressista e ultra-liberal, che propone l’estensione del concetto a gruppi un tempo non considerati, trascendendo le oggettive differenze biologiche. Secondo costoro non si nasce donna o uomo, ma donna o uomini si diventa.
Il dibatto sulle due identità riflette la divisione manichea sull’intendere l’identità stessa.
Sia il mondo ultraconservatore che quello ultra-progressista ritengono le ragioni identitarie espresse dall’altro mondo come illegittimo e pericoloso. D’altra parte, il liberalismo – la terza via tra universi politici che non comunicano tra loro e si annullano l’uno con l’altro al prezzo di una nociva polarizzazione del discorso pubblico – promuove entrambe le identità, senza scivolare nell’estremismo. Promuove altresì la possibilità di coltivare sia quella nazionale, che quella di genere.
Si dice che la prima sia una cosa di destra e il liberalismo è una cosa di sinistra. Nulla di più sbagliato...