Riportiamo la questione sociale al centro

È un mondo che non pensa più per categorie quello che si interroga sull’uccisione assurda di Willy Monteiro a Colleferro, in provincia di Roma. Non riuscendo così a coglierne cause ed essenza. Nei giorni che seguono il pestaggio del ventunenne italiano di origini capoverdiane, intervenuto per sedare una rissa e poi abbandonato in mezzo alla strada in fin di vita dal branco dei suoi aggressori, a due passi da una caserma dei carabinieri, sui principali giornali ci si interroga sui dettagli morbosi più che sulle cause sociali di lungo corso.

C’è chi chiama in causa la passione per la palestra e le arti marziali dei presunti aggressori (tra loro, i fratelli Gabriele e Marco Bianchi), chi i precedenti penali degli stessi, non nuovi a episodi di violenza e risse. E chi invoca l’aggravante razziale a presunta spiegazione della spedizione punitiva nei confronti del giovane.

Ma a fare un passo in più, oltre la cronaca, sono davvero in pochi. Lo fanno, ed è giusto menzionarlo, da palchi decisamente differenti, Giulio Gambino, direttore di TPI, e tra gli altri vip, Chiara Ferragni, l’influencer milionaria che con un post ricondiviso (quindi non scritto da lei) parla dell’esistenza di una sub-cultura fascista alla base di episodi come quello di Colleferro. Raccogliendo il plauso di innumerevoli follower. 

Cosa dicono nello specifico Gambino e la Ferragni? Il primo insiste su circoli, partiti, feste, attività di paese (e persino la Chiesa), che un tempo c’erano e ora non ci sono più. Sparita ogni forma di aggregazione sociale, cancellata dall’agenda politica italiana – questo l’argomento di Gambino – “sono venuti meno i valori che ispiravano le nostre vite … le direttrici che formavano le nostre identità. E con esse si sono offuscate le battaglie culturali e politiche di portata storica che, sebbene ancora esistenti, vengono oggi vissute con disinteresse e apatia. Col risultato che pochi o nessuno legge più, giornali o libri che siano, e che nessuno o pochi seguono la politica che determina invece le nostre vite e la nostra attività quotidiana. Senza lavoro, senza futuro, senza prospettive: sono molti coloro che oggi, specie ai margini delle grandi città, si sentono isolati e abbandonati. Questo drammatico abbandono dei territori è responsabilità unicamente della politica. È ciò che genera i mostri inumani che abbiamo visto a Colleferro”. 

La seconda, da un palco decisamente differente e con un linguaggio decisamente differente, rivolgendosi a una platea di giovanissimi, ri-posta: “Due giorni fa è stato ucciso Willy Monteiro da un gruppo di 4 fasci che l’hanno ammazzato a calci. I giornali si sono prodigati a estremizzare l’avvenuto in due modi: umanizzando gli aggressori (“bravi ragazzi”); mettendo tutta colpa sulle arti marziali che praticavano. I giornali però – prosegue l’autore del post condiviso dalla Ferragni – non mettono il loro focus sul fascismo e sulla cultura predominante di queste persone. Addirittura c’è chi si propone di eliminare queste arti marziali per risolvere il problema. No Amo, il problema lo risolvi cambiando e cancellando la cultura fascista e sempre resistente in questo paese di m…, non cancellando il mezzo tramite cui i fasci hanno fatto violenza”.

Ora, chi scrive si interroga, chiedendosi se le due operazioni – che hanno l’indubbio merito di allargare il campo del discorso – colgano nel segno, rivelando al contempo un vuoto di senso della narrazione giornalistica main-stream. Quella accreditata, per intenderci, che passa, in Italia, per tradizione, da Corriere della Sera e Repubblica. E la risposta che ci si sente di dare è un convinto sì. Forse quella mancata ricerca delle cause a lungo termine, quella ipertrofica attenzione al dettaglio, al che dell’evento e non al suo perché (come direbbe Heidegger), non hanno forse un ruolo nella diffusione di quella stessa sub-cultura che produce i fatti di Colleferro? Non è proprio in quella dicotomia tra le vittime “buone per antonomasia” e i “mostri di Colleferro” la rappresentazione plastica di una società che non vuole andare oltre, interrogandosi sulle cause sociali? 

Che rapporto c’è tra quella cultura sub-fascista e le disuguaglianze galoppanti che crescono ancor di più nei momenti di crisi in Italia? 

Che rapporto esiste tra il progressivo ritirarsi dello Stato dalle periferie e l’emergere di gruppi criminali che monopolizzano territori e mercati dello spaccio? Che rapporto c’è infine tra i media che insistono con dettagli macabri, ricostruzioni minuto per minuto, quando non addirittura ricorrendo ai plastici, e la progressiva perdita di sensibilità della società civile rispetto a eventi di questo tenore?

La realtà, la più difficile da accettare, è che forse di quella sub-cultura, che produce “i mostri di Colleferro”, siamo tutti inconsapevoli protagonisti, oltre che testimoni. E allora solo una rivoluzione che rimetta la questione sociale al centro delle narrazioni giornalistiche e non (visto l’impatto delle alternative digitali), potrà essere l’argine a derive brutali e indegne del consorzio umano. Sub-fasciste o meno.

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