Alla ricerca della curva perfetta. Ricordi in onore di Jason Dupasquier

Foto: Jason Dupasquier, credit Sandrasaez

Da domenica 30 maggio Jason Dupasquier guarda il mondo dall’alto, insieme agli dei, da quando il suo cuore ha cessato di battere, a Careggi. Alla distanza di poco più di un giro del circuito Mugello c’è villa medicea dove Marsilio Ficino fondò l’Accademia Neoplatonica fiorentina. Ed è in un mondo iperuranico che sfrecciano i pensieri di quei pochi che si possono dire piloti, di tutti, di quelli che arrivano primi e quelli che arrivano ultimi. Perché essere pilota è prima di tutto una condizione dello spirito.

Jason Dupasquier, svizzero friburghese di 19 anni sulla Terra ed infiniti sulla Pista del Cielo, è caduto facendo quello che ama, combattendo con passione e rispetto ogni curva che gli si oppone.

Ma come nella più paradossale delle cadute, Jason ha perso la vita terrena da chi meno te lo aspetti, dai compagni di velocità che lo hanno investito. Un Achille trafitto al calcagno.

Il 23 ottobre del 2011 il Sic Marco Simoncelli cadde in modo simile, centrato da Colin Eduard prima e poi dal suo idolo e mentore Valentino. Nel 1983 ad Assen Franco Uncini, campione del mondo ‘82, fu investito da Wayne Gardner che gli fece volare via il casco. Si rialzò dopo 24 ore di coma.

Inevitabilmente i da sempre e per sempre mortali o, altrimenti detti, pantofolai, hanno cominciato a vociare che tutti gli sport motoristici devono essere aboliti, soprattutto il motociclismo che poco avrebbe di sport.

Difficile discutere con chi con la mano destra al massimo apre la caffettiera e non il gas di una moto.

Quando riaprirono il circuito del Mugello nel 1976, lo stesso giorno morirono Paolo Tordi e Otello Buscherini, motociclisti di stampo antico: si schiantarono contro i pali che reggevano le protezioni.  Una fine assurda.

Allora la pista aveva le sue colpe, come i circuiti dell’Isola di Man o del vecchio Nürburgring, assassini veri. Adesso non più, o molto meno. Negli ultimi anni la sicurezza attiva e passiva sui circuiti motoristici è aumentata incredibilmente: airbag, vie di fuga, abitacoli rinforzati; un mondo altro da quello del passato. Ma da tutto ci si può difendere, ma non da una moto che ci viene addosso.

Potremmo dire che dovrebbe essere abolito anche l’alpinismo, il pugilato, il paracadutismo, il free climbing. E perché non anche il ciclismo? Chi si ricorda di Casartelli? E di Wouter Weylandt caduto a 26 anni nella discesa verso Rapallo?

Lasciamo stare i dibattiti stucchevoli sull’opportunità di far svolgere le gare della Moto GP e della Moto3. Dovevamo forse decidere i piloti, come avevano proposto Petrucci e Valentino, e non gli organizzatori preoccupati degli sponsor e agli attenti diritti televisivi.

Walter Villa, morto nel suo letto per arresto cardiaco a 58 anni, fu campione italiano e mondiale. Il 20 maggio 1973 a Monza fu coinvolto nella terribile carambola che costò la vita a Renzo Pasolini e Jarno Saarinen. Trasportato in ospedale con un forte trauma cranico, rimase in coma per due giorni. Si rialzò, e non riuscì a ricordare nulla dell’incidente. Ma quattro giorni dopo era di nuovo in sella per dei test. Anni dopo Leo Turrini, suo vicino di ombrellone sulla spiaggia di Cesenatico, gli chiese di raccontargli quella storia. Villa rispose in modo banale, ma per questo più vero:” Voi che siete persone normali… comuni, non potete capire chi è un pilota. Sono tornato subito a competere perché nonostante quello che era successo, nonostante avessi visto morire due mie confratelli come Renzo e Jarno, io volevo continuare”.

Tutti i piloti mettono in conto la fine terrena, ma quando abbassano la visiera si apre loro un’altra dimensione, che non è la nostra. Questo è il discrimine: chi è un pilota e chi no.

Un abbraccio alla famiglia di Jason e a tutti i suoi compagni.

Credit Sandrasaez

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