“Ce la faremo”, dobbiamo farcela

In questo indimenticabile periodo, ha suscitato i più vari commenti (dallo sfavorevole all’ironico, all’indignato: giustamente!) anche la balzana proposta di mettere “ai domiciliari” gli oltre 17 milioni di over-sessantenni, forse dimenticando che fra i primi dovrebbero esservi Papa Francesco e il Presidente Mattarella, ed a seguire deputati, senatori, ex presidenti (che dire di Silvio Berlusconi?) personalità della cultura, dello spettacolo (divertente, come sempre, Fiorello, che compirà a breve i 60) e del giornalismo – pur mettendo su un piano anagrafico a parte, fra altri,  Eugenio Scalfari, Piero Angela, Corrado Augias, Paolo Mieli, Natalia Aspesi – per arrivare ai “giovani” come Beppe  Severgnini, Gian Antonio Stella, Massimo Gramellini (papà felice da poco, 60 anni ad ottobre), Lilli Gruber, e molti, molti altri.

E che dire di personaggi al vertice del mondo della moda? In quest’ultimo settore, eccoli: dal grandissimo Giorgio Armani ai fratelli Ferragamo, da Renzo Rosso ai coniugi Prada-Bertelli, per ricordarne alcuni; proseguendo – non ultimi! – con i massimi organizzatori delle più importanti rassegne, come Carlo Capasa (Camera Nazionale della Moda) e Raffaello Napoleone (Pitti Immagine).

Mondo moda nel quale entriamo in pieno vedendo i primi segnali di ripresa, cominciati con la riapertura delle fabbriche. Naturalmente, i problemi affacciatisi non sono pochi. In primo piano vi sono stati le accuratissime disinfezioni dei luoghi di lavoro oltre all’obbligo di mascherine, guanti e uso di igienizzanti, e non ultimo quello delle mense. Problema, questo, risolto da Luxottica con un altro obbligo: quello di sedersi a tavola tre persone per volta, a distanza obbligatoria. Prada, invece, ha chiuso le mense e cambiato i turni: quelli del mattino devono terminare a mezzogiorno (così che ognuno possa pranzare a casa propria); quelli del pomeriggio cominciano ad un orario post-pranzo, terminando pre-cena. Da Renzo Rosso, invece, si è discusso sul tenere le mense aperte, suddividendole in quattro turni.

I ritmi dovranno essere quanto mai intensi considerando che il pubblico avrà voglia “di nuovo”, di rinnovarsi e ritrovare tutto ciò cui era abituato, come si poteva prevedere e come capita dopo ogni guerra; e questa è una guerra, anche se il nemico è nascosto. Lo stanno già dimostrando in Cina, dove il grandissimo pubblico dimostra desideri, e necessità, diversi da zona a zona. A Pechino sembra che la preferenza sia per cibo, bevande e farmaceutici mentre registrano un calo abbigliamento ed altri beni di consumo, oltre all’automobile. E ci si domanda, anche, se il pubblico tornerà ad effettuare gli acquisti in negozio o preferirà continuare ad usare internet, eventualità temuta e sconsigliata in pieno dalla classe medica, dato che questo comporterebbe minor moto. Moto che per tutti, a timori coronavirus conclusi, dovrebbe essere in primo piano, essenziale per la salute, non sostituito dalla palestra con cui niente ha a che fare.

Intanto il lusso – questo termine che può dar adito a discussioni, e disapprovazione, mettendolo a confronto e contrasto con altri termini quali povertà ed indigenza, mentre poteva essere definito alta moda (come perlopiù è), o grande stile se non per i patiti esterofili sudditi dell’english, “big style” – da alcuni anni si dimostra una voce di grandi risorse, aiutando con fatturati ed esportazioni il “grande giro” dare-avere-benessere.

Lusso, quindi, non obsoleto dato che rappresenta sempre “il più” dell’esportazione, soprattutto verso Paesi a forte densità di popolazione e – ovviamente- di “paperoni” presunti o reali, dall’occidente all’oriente. Come (Pechino a parte) proprio in Cina. Quella Cina che, dopo aver “esportato” il dannato coronavirus, o Covid-19, se da una parte sembra prudente, ancora incerta, titubante dopo la grande sofferenza, dall’altra – come previsto dai nostri  creatori di moda, e dagli artefici di tutto ciò che rappresenta il bello – in uno straordinario esempio di ripresa  ha  affollato negozi e boutique del “lusso” creato da marchi europei: il primo giorno di riapertura post Covid-19 vi è stato chi ha venduto, a Canton, persino  una borsa  creata “per il ritorno alla vita”, ricoperta di diamanti, fatturando 2,7 milioni di dollari!

A Hong Kong, poi – cui seguiranno Miami ed il Sud America – hanno riaperto, ristrutturata, la loro boutique Dolce & Gabbana, o D&G, due piani, con l’interessante nuova formula del video-boutique. Ovvero di un video con cui i commessi illustrano i vari capi così che i clienti possono già scegliere ciò che loro interessa per poi recarsi ad acquistarli nella boutique, dove non sostano più di tre-quattro persone (munite di mascherine!), senza perdere tempo, trovando già pronto il capo scelto. L’idea è nata con successo quando, a febbraio, i compratori cinesi non son potuti venire a Milano; un tipo di presentazione, ora adottato dalle più “grandi firme”. Ed indubbiamente altri ancora ne seguiranno l’esempio.

Ora c’è soltanto da augurarsi che, sconfitto il Covid-19 (anche se a detta di illustri rappresentanti della medicina potrà tornare – non senza gli scongiuri di rito da parte del pubblico), la nostra industria, d’ogni tipologia, possa recuperare, o aumentare, il successo precedente. Ancora una volta, con fiducia e ottimismo, ritorna il “ce la faremo”. Dobbiamo farcela.

 

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