Chiudere il rubinetto può salvare il pianeta?

di Marco Nori, Ceo di Isolfin

A ognuno di noi sarà capitato di sentir dire “chiudi il rubinetto mentre ti lavi i denti” oppure “spegni le luci quando esci dalla stanza”, ma in che misura le azioni del singolo possono influire sull’intero pianeta?

Secondo alcune tesi, i comportamenti e le scelte individuali non sono sufficienti a determinare un cambiamento reale su larga scala: se anche l’intera popolazione degli Stati Uniti mettesse in atto un certo comportamento, il suo impatto sarebbe ridotto ad appena il 20%. Ma sarebbe necessario il 75% per produrre un cambiamento utile al pianeta.

D’altra parte, tuttavia, c’è il cosiddetto “butterfly effect”, l“effetto farfalla”, secondo il quale anche la più piccola azione può avere un ampio impatto dall’altra parte del mondo.

Questo è il caso, ad esempio, del cambiamento climatico: se qualcuno mette in atto un comportamento, è probabile che possa influenzare le persone che ha intorno a comportarsi alla stessa maniera e che tale pratica possa diffondersi al punto da indurre i legislatori ad adottarla e a cambiare lo status quo. Ogni rivoluzione, ogni legge che cambia, parte sempre da una sola persona che ha detto “così non va”.

Credere che le proprie scelte non possano fare la differenza è il primo ostacolo al cambiamento; il secondo è una scarsa informazione. In un sondaggio condotto nel Regno Unito da Deloitte, il 48% degli intervistati ha dichiarato di non essere adeguatamente informato sulle questioni che hanno a che fare con la tutela dell’ambiente.

Per esempio, la raccolta differenziata fa ormai parte della nostra quotidianità. Ci siamo abituati, non senza qualche difficoltà, a separare il vetro dalla carta, gli avanzi del cibo dalla plastica. Ma siamo sicuri di saper separare i rifiuti in maniera corretta?

Quando si parla di rifiuti, spesso pensiamo che la plastica sia l’unico problema ma è sorprendente scoprire quanti prodotti di uso quotidiano in realtà non possano essere riciclati e siano destinati a finire in discarica, dove il loro smaltimento produce grandi quantità di metano, uno dei gas più nocivi per il riscaldamento globale.

Tra questi prodotti ci sono i tovaglioli di carta, i fazzoletti, le salviette igienizzanti, che non possono essere riciclati a causa della contaminazione da rifiuti organici. In questo caso, utilizzare tovaglioli e carta assorbente prodotti da materiale riciclato potrebbe essere un buon compromesso, insieme alla buona abitudine di utilizzare fazzoletti di stoffa e stracci lavabili per pulire la casa, come facevano i nostri nonni.

Anche gli scontrini non sono riciclabili: la carta termica di cui sono fatti non è biodegradabile. Per fortuna, oggi è sempre più spesso possibile fare a meno delle ricevute su carta e richiedere, invece, quelle elettroniche. Un discorso simile vale per i post-it, il cui materiale adesivo non può essere riciclato.

Ancora a proposito di carta, le stoviglie monouso hanno spesso al loro interno uno strato di plastica necessario per isolare il calore. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le aziende che producono piatti, bicchieri e perfino cannucce idonei ad essere riciclati. Come riconoscerli? Sulla confezione troverete la dicitura “PAP”. Nel dubbio, usare stoviglie lavabili e riutilizzabili è sempre l’opzione migliore.

Riutilizzare ciò che è già stato prodotto, infatti, è il modo migliore per salvaguardare le risorse del pianeta. Negli ultimi anni, la tendenza al riutilizzo ha assunto anche un’aura “cool” soprattutto nel mondo dell’abbigliamento: indossare capi vintage e acquistare abiti di seconda mano è ormai una moda, soprattutto tra i più giovani, e il pianeta ringrazia.

Oggi esistono moltissimi siti web e applicazioni che mettono in contatto venditori e acquirenti, chi vuole disfarsi di qualcosa che non usa più e chi è pronto a darle una nuova vita e basta una rapida occhiata per rendersi conto che non si tratta solo di capi d’abbigliamento ma anche di libri, oggetti d’arredo, dispositivi elettronici e persino mobili. La versione digitale del mercatino delle pulci.

La buona pratica di riutilizzare ciò che già esiste o che già abbiamo può essere applicata anche per ridurre lo spreco di imballaggi che produciamo quando acquistiamo il cibo e i detersivi. Molti negozi e supermercati offrono la possibilità di comprare i prodotti sfusi riutilizzando bottiglie e barattoli che già possediamo: quanta plastica potremmo risparmiare se riutilizzassimo sempre la stessa bottiglia per comprare il detersivo per i piatti, invece di acquistarne (e pagarne) ogni volta una nuova?

La produzione di nuovi imballaggi comporta un grande utilizzo di energia e risorse del pianeta e lo stesso vale per il loro smaltimento. Ridurre il loro sfruttamento, a livello individuale e su larga scala, è necessario e rappresenta un vantaggio non solo per l’ambiente ma anche per il portafogli.

Per fare un esempio, secondo i dati forniti dall’ONU, il 17% del cibo che compriamo viene buttato via: si tratta di 931 milioni di tonnellate di alimenti che passano dalla tavola alla spazzatura, insieme all’acqua e all’energia necessari alla loro produzione e al denaro con cui sono stati acquistati. Si tratta di uno spreco enorme che possiamo contribuire a ridurre comprando meno e in modo ragionato.

Sono questi i piccoli cambiamenti che possono generare l’effetto farfalla: comprare solo quello che serve per salvare il mondo.

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