Emilio e Stefania Bortoluzzi, una bellissima storia d’amore e di cura per la cultura e i più fragili

Una coppia unita e complice, due grandi medici, convinti mecenati delle arti e appassionati di musica e letteratura, animati da un profondo desiderio di fare del bene

Foto: Emilio e Stefania Bortoluzzi sorridenti nella loro casa a Velate, suggestivo borgo a Varese

di Mario Chiodetti

Una casa, lo specchio di due vite. Intense, condivise, colme di progetti e speranze, di interessi comuni e passioni portate avanti con caparbietà. La dimora di Emilio e Stefania Bortoluzzi, a Velate, borgo incantato ai piedi di Santa Maria del Monte a Varese, ha rispecchiato fino in fondo i loro caratteri, la loro prodigalità e l’attenzione all’amicizia e al conforto del prossimo, pratica già comune a cagione della professione di entrambi, la medicina.

Stefania ed Emilio sono stati grandi medici, ma anche convinti mecenati delle arti e appassionati di musica e letteratura, praticandole in prima persona, grazie a una profonda cultura umanistica, tratto comune ai professionisti della loro generazione. Una generazione uscita dalla guerra con la tenacia e la convinzione di costruire qualcosa di importante, una carriera, ma anche una famiglia, il successo professionale ma anche il profondo desiderio di fare del bene.

Emilio Bortoluzzi, di famiglia veneziana, è stato il fondatore del reparto di rianimazione dell’Ospedale di Circolo di Varese che diresse fino al 1989, tanto da meritare la dedica dei reparti di Terapia intensiva. Stefania Longoni Bortoluzzi, milanese d’origine, era moglie e collega in ospedale, anestesista per 34 anni, che ha addormentato trentamila pazienti e nel contempo, con grande serenità e una riconosciuta autorità, governava la famiglia, composta dai tre figli, Elisa, Alberto e Chiara, accogliendo in casa amici e artisti.

Ma l’amore per l’arte era sempre in agguato per entrambi, così Emilio trascorreva il poco tempo libero nel suo studio a scrivere poesie e racconti, con la soddisfazione di vedere pubblicato il suo primo libro di liriche, “In viaggio”, del 1973, dal grande Vanni Scheiwiller, con la prefazione dell’amico Piero Chiara. «Egli vuol dire che la vita è un viaggio e che il viandante è il poeta, cioè l’uomo, sempre in cerca dei principi o della sostanza dell’universo».

E così ha fatto Emilio Bortoluzzi, senza mai tirarsi indietro, continuando fino alla sua dipartita, avvenuta il 1° marzo 2018, a buttar giù sensazioni e pensieri, appunti di viaggio e versi pieni d’amore verso la moglie e i figli e le amicizie presenti e trascorse, arrivando a pubblicare dodici raccolte poetiche, con l’ultima, “Fuori scala” uscita all’età di 95 anni, e altre prove importanti quali “Nel buio”, “Due vite”, “Istanti”, “Il lato più in ombra” o “L’anello”.

Emilio teneva molto ai suoi libri, li inviava agli amici con dedica, erano i figli di carta ai quali dedicava il suo tempo più riservato, faceva parte della folta schiera dei medici scrittori, che conta nomi illustri, da Rabelais a Čechov e Céline, da Cronin al grande Conan Doyle, fino, in tempi più recenti, ai nostri Carlo Levi, Giulio Bedeschi e Andrea Vitali.

Il medico umanista si occupò anche di dirigere “La Ruota”, la rivista del Rotary di cui faceva parte, e di coltivare, con il fratello Bepi, amicizie illustri di letterati, da Piero Chiara al cognato Dante Isella, Vittorio Sereni e Guido Morselli. E il frutto di questa passione che lo ha accompagnato per la vita intera, è stata la sua ricchissima e curatissima biblioteca, oggi donata alla città di Ascona.

I libri sono il nostro specchio, «dimmi che biblioteca hai e ti dirò chi sei», si potrebbe senza tema affermare, e così quella di Emilio Bortoluzzi rispecchiava interamente la sua inesausta curiosità e anche la sua data di nascita, il 1921.

Ecco dunque qualche Treves d’annata, il Linati, per esempio, di “Storie di bestie e di fantasmi”, magari regalatogli dal cognato Isella, che conobbe personalmente lo scrittore comasco. Poi le “Meduse” Mondadori, con gli scrittori in auge nell’immediato dopoguerra, Franz Werfel, Heinrich Mann, Pearl S. Buck, William Saroyan, Eric Maria Remarque, Georges Simenon, Hans Fallada e gli immancabili grigiolini della B.u.r., la Biblioteca universale Rizzoli, tascabili e accessibili a tutte le tasche, i vecchi Pirandello degli Omnibus Mondadori, le lussuose edizioni di Arnoldo dedicate alle poesie di d’Annunzio e, imponente e color testa di moro, il “Dizionario enciclopedico italiano” Treccani in 12 volumi.

Nello scorrere titoli e case editrici, si capisce come la biblioteca di Emilio Bortoluzzi sia di tipo emozionale, il suo sia stato un collezionare dettato dalla passione per la scoperta, non per il piacere dell’accumulo. Emilio non è stato un collezionista bibliofilo, ma un capace lettore, lo si capisce dalla disposizione dei volumi: alcune collane sono in ordine, tutti i Garzanti di narrativa, gli Adelphi e gli Einaudi di poesia e narrativa, i Garzanti verdi di poesia, qualche Scheiwiller, e soprattutto gli amati Adelphi, con Ceronetti, Parise, Kafka, Faulkner, Walser, Turgenev, Chatwin, Brodskij o Pessoa, ma gli altri libri sono disseminati negli scaffali secondo il suo ordine mentale ed emotivo.

Se il medico scrittore alimentava la sua variegata cultura ascoltando musica jazz, la moglie Stefania, che in gioventù aveva studiato pianoforte -fino ad accompagnare la madre soprano in entusiasmanti Liederabend-, amava svisceratamente la musica classica, costruendo parallelamente al marito una imponente discoteca, prima di 78 giri, poi di vinili, quindi di compact disc, perfettamente ordinati negli scaffali del salotto.

La discoteca, donata dopo la scomparsa della dottoressa al Conservatorio della Svizzera Italiana, mostrava alcuni capisaldi della sua passione, incisioni leggendarie con interpreti magari non “storicamente informati” come oggi si usa dire per chi esegue musica antica, ma di straordinario carisma e rigore artistico.

Ecco Karl Richter con le “Passioni” bachiane, tutta la musica per tastiera del Kantor interpretata da Angela Hewitt, il Beethoven delle Sinfonie e dei Concerti, il Mozart pianistico e operistico, le più celebri incisioni di Karajan, ma soprattutto una grande raccolta di lieder, la passione più profonda di Stefania, che conoscendo a perfezione il tedesco, conosceva a memoria i testi dei poeti di Schubert, Schumann, Mendelssohn, Brahms, Wolf, Strauss, e gustava le opere di Richard Wagner in lingua originale.

Tra i Romantici non mancava Chopin, quello di Rubinstein naturalmente, anche se tra i cd spuntava anche il nome di Maurizio Pollini, di Arturo Benedetti Michelangeli e quello amato di Dino Ciani, grande e sfortunato. Questa particolare Weltanshauung potrebbe apparire come un ossimoro, perché la dottoressa Longoni era una persona pragmatica, senza troppi svolazzi, molto diretta, e invece i suoi gusti musicali facevano pensare a tutt’altro, a un romanticismo tutto interiorizzato, forse figlio degli anni milanesi, quando giovanissima studiava pianoforte con sua madre, scoprendo con lei i tesori racchiusi nei versi dei poeti tedeschi, Uhland, Klopstock, Müller, Brentano e naturalmente Goethe.

Il suo segreto rimaneva custodito tra i titoli dei dischi, che ricordava uno per uno, citando gli interpreti e dando un giudizio di merito all’esecuzione.

Stefania ricordava le decine di concerti dal vivo cui aveva assistito in tutto il mondo, e ascoltava con l’orecchio e la sensibilità del musicista, non dell’amatore, coglieva ogni sfumatura della partitura e si divertiva ad accostare diverse esecuzioni dello stesso brano, proprio grazie alla vastità della sua raccolta musicale. La sua passione per la musica era contagiosa, tanto da convincere alla fine il marito Emilio a convertirsi alla classica e a seguire con lei i concerti.

La dottoressa, che aveva sostenuto per anni le stagioni di concerti a Varese, e aiutato molti musicisti, tra cui una giovanissima Angela Hewitt, che considerava quasi una figlia e della quale aveva tutti i dischi, con l’avanzare dell’età aveva selezionato i suoi ascolti e si accostava a compositori più introspettivi, Bach, l’ultimo Beethoven, Brahms, le Sonate schubertiane della maturità, alcuni lieder di Schumann, ma anche opere liriche, magari meno praticate in gioventù.

Due vite, passioni diverse ma contagiose e sempre condivise, il piacere di animare la cultura con i concerti in casa e accogliere gli amici più cari, nel segno di un’ospitalità antica e quasi scomparsa. Emilio e Stefania Bortoluzzi hanno offerto parecchio alla loro città d’adozione, sempre disponibili ad ascoltare e a dare una mano, con la semplicità di chi ha a cuore il destino dell’uomo e il suo benessere in questa vita.

Libri e dischi sono stati i testimoni di questa continua ricerca nel sapere e nei recessi della mente, e rappresentano una preziosa eredità per chi ne saprà fare buon uso.

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