Febbre: il coraggio di abbattere i muri del pregiudizio

Scrivere per poter vivere mille vite.
Scrivere per creare personaggi e mondi. Per ri-crearsi e fantasticare infinite possibilità; per immaginare spazi senza pregiudizi. Un casa diversa, un parentato diverso, un substrato sociale diverso.
Scrivere per sentirsi liberi e andare oltre i confini e, allo stesso tempo, dare un giusto senso alle cose. Anche a quelle brutte, come le malattie, quelle che non solo sono terribili ma portano anche con sé una carica di stereotipi, impietosi spesso.

Non si può, credo, leggere “Febbre” di Jonathan Bazzi, finalista al Premio Strega 2020, senza essere catapultati di fronte alla forza delle parole contro l’ingiustizia che circonda lo scrittore, ma non solo lui.

Già perchè la storia di Bazzi, la “sua” storia, è anche la foto di un contesto che riguarda tanti altri, cresciuti nei palazzi alla periferia di Milano, in famiglie violente, dove conta la forza, il nome di strada piuttosto che l’istruzione. Dove la scuola non ha valore, mentre lo ha lo sballo, il divertimento, lo scherno del diverso, il supruso.

Figlio, non cercato, di una coppia giovanissima, che presto divorzia – suo padre, maschio-alfa, le donne le usa e le domina; sua madre, succube di uomini violenti, troppo giovane per essere materna – Bazzi viene cresciuto dai nonni, in una famiglia numerosa, fortemente patriarcale, tradizionalista e chiusa.
Bazzi non è solo un bambino insicuro per la mancanza di affetto dei genitori e la realtà poco stabile che lo circonda. È anche balbuziente. Ed è omosessuale, in un contesto dove esserlo è una condanna a una vita di soprusi, oppure costringe al diniego. Per anni, Bazzi si muove senza una guida – eccezion fatta per la maestra di inglese. Alla ricerca di attenzioni nelle chat e nei siti per gay. Negli incontri casuali. Spaesato. Incapace di definire la propria identità, di figlio, di uomo, di amante.

Fino a quando poi, una caratteristica se la ritrova addosso. Senza potersene mai più liberare. Senza averla cercata, questa caratteristica. Si scopre sieropositivo. Il mondo crolla. Si sfracella. E il virus intacca non solo le cellule ma anche l’anima. L’ansia assale e paralizza. Letteralmente, come racconta Bazzi nel suo libro. Ma alla fine la vita trionfa. Dovrà trionfare. Grazie alla curiosità (di imparare, conoscere e vivere) di Bazzi. Grazie, fondamentalmente, ai libri, che lo salvano ancora una volta.

Se da giovane, le pagine scritte, la biblioteca e lo studio erano stati armi di riscatto personale rispetto a un mondo circostante di violenza e disfunzionalità, da adulto sieropositivo scrivendo la propria storia Bazzi trova una ragione per non aver paura. Anzi, per denunciare la paura che per anni lo ha tenuto soggiogato e per denunciare l’omertà rispetto all’HIV, che riguarda tutti.

“Febbre” racconta un viaggio drammatico e non ancora concluso – da Rozzano a Milano, da giovane balbuziente a persona che è in grado di gestire le proprie balbuzie, da schiacciato dalla malattia a persona capace di gestirla, da vorace divoratore di relazioni a amante che sa aspettare.

È una una lettura che emoziona e ci porta a fare il tifo per tutti coloro che sono discriminati, sono privati di amore, si ritrovano ai margini, ma ai margini non vogliono starci. E lottano. Con coraggio, tra alti e bassi, ma lottano.

“Giustizia è che almeno tutti sappiano la verità.
Storie proibite, storie permesse – trovare il coraggio di una riscrittura.”

 

Continuare
Abbonati per leggere tutto l'articolo
Ricordami