Il carbone, l’Europa e la Svizzera

Di Marco Nori, CEO Isolfin

Le centrali elettriche a carbone esistono ancora in Europa. A molti può sembrare anacronistico, l’immagine di una Londra fumosa immersa nella rivoluzione industriale che appesta l’aria di migliaia di lavoratori, e invece in Italia ce ne sono ancora ben otto, tra cui le centrali di Fiume Santo e Sulcis in Sardegna, Fusina (Venezia), La Spezia, Civitavecchia e Brindisi.

Nello sforzo di accelerare la transizione ecologica, il governo italiano aveva dichiarato di volerle chiudere tutte entro il 2025, obiettivo previsto dal Piano nazionale per l’energia e clima (Pniec), che però rischia di saltare.

Per rimuovere dalla rete queste famigerate centrali, Enel ha previsto rinnovabili e batterie, ma sono previsioni di lunga durata e nel breve termine si affiderebbe a impianti a gas da tenere in vita per un tempo limitato fino a quando nel paese non ci sarà un’adeguata diffusione di fonti fotovoltaiche ed eoliche.

Tuttavia, non sono ancora pronte le autorizzazioni per la costruzione degli impianti a gas che rimpiazzeranno il vuoto energetico lasciato dalla chiusura delle centrali più inquinanti in circolazione.

I motivi per cui le autorizzazioni tardano sono molteplici, molti di carattere logistico e organizzativo e la situazione si sta ingarbugliando perché, man mano che il tempo passa, gli investitori passano la mano ad affari più sicuri e i pezzi del puzzle industriale per produrre gli impianti si sfilano e devono essere ricomposti. A monte c’è anche una sottile diffidenza per il gas, che è più pulito del carbone, più sostenibile, ma non abbastanza agli occhi di molti che sognano energie rinnovabili disponibili nell’immediato. Non è solo una questione di volontà – dovremmo realizzare impianti fotovoltaici e eolici velocemente ma anche lì i processi autorizzativi bloccano gli investitori e le offerte agli appalti latitano per mancanza di certezze.

Il pragmatismo è una pillola amara e per l’Italia il gas è una soluzione immediata difficilmente rinunciabile nel breve periodo perché, almeno per ora, lo sviluppo delle energie verdi è ancora lento. Insomma, la scelta è fra il gas e il carbone, fintanto che la transizione energetica non cambia seriamente di passo.

Non pensiamo che sia un male italico, in Germania la situazione è persino peggiore. Dopo l’improvvisa rinuncia all’energia nucleare, i tedeschi hanno dovuto trovare rapidamente nuove forme di approvvigionamento elettrico e la soluzione a portata di mano prevede i combustibili fossili – al giorno d’oggi son ben 84 le centrali che bruciano sostante altamente inquinanti. Nonostante il governo abbia annunciato l’abbandono della fonte fossile entro il 2038, una nuova centrale a carbone è stata inaugurata l’anno scorso. Ebbene sì, nel 2020 la Germania ha aperto una nuova centrale elettrica a carbone aizzando – a ben ragione – gli ecologisti.

La Francia non ha spostato di molto i propri obiettivi e continua ad approvvigionarsi largamente di energia nucleare.

La Svizzera è in una posizione molto avvantaggiata. Dispone di 600 centrali idroelettriche che forniscono il 60% dell’energia elettrica prodotta nella Confederazione -con punte del 90% in alcune zone del Canton Ticino-, una situazione che fa invidia a quasi tutti i paesi europei. Eppure anche in Svizzera ci sono dei malumori: il 37,8% dell’energia proviene dalle centrali nucleari, che non producono CO2 ma scorie radioattive, e solo il restante 4% della produzione totale proviene da fonti rinnovabili.

Ma oltre alla produzione interna di energia elettrica c’è quella che viene importata, che non è affatto estranea all’uso del carbone. Diverse aziende svizzere come Alpiq o BKW operano nei mercati internazionali e hanno investito in centrali a carbone all’estero, spesso molto vicino ai confini, per esempio in Germania o in Polonia.

Ma anche nella Confederazione, prima o poi, dovremo fare a meno del nucleare. Con il referendum del 2016 i cittadini svizzeri hanno respinto il precipitoso spegnimento delle centrali nucleari, ma la strategia energetica 2050 punta su un abbandono graduale: le centrali nucleari esistenti continueranno a funzionare fino al termine del loro ciclo di vita, ma non potranno essere sostituite. E anche in questo caso occorrerà rimpiazzare l’energia che verrà a mancare. Con fortuna e buona volontà per allora avremo approntato fonti rinnovabili in abbondanza, sennò si riproporrà l’annoso discorso del gas e del carbone, ma confidiamo davvero che non sarà questo il caso. Ci crediamo.

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